FumettualitàIl crepuscolo del fumetto popolare

Se ne vendono ancora di albi a fumetti, in Italia? Secondo molti operatori del settore no. I dati delle vendite, sono impietosi. La crisi colpisce quelli da edicola, colonna portante della gloriosa...

Se ne vendono ancora di albi a fumetti, in Italia? Secondo molti operatori del settore no. I dati delle vendite, sono impietosi. La crisi colpisce quelli da edicola, colonna portante della gloriosa tradizione italiana. E’ la fine di una forma di intrattenimento di massa?

Nelle conversazioni che autori ed editori hanno tra di loro i toni catastrofici sono una costante. Sembra quasi una regola matematica quella che dimostra come, ogni mese, una qualsiasi testata a fumetti, in edicola, venda meno del mese precedente.
Per anni, in Italia, il fumetto è stato distinto in due grandi categorie: fumetto popolare e fumetto d’autore. Se quest’ultimo si è sempre attirato l’interesse quasi esclusivo di un pubblico competente e appassionato – non focalizzato tanto sul costo di un’opera, quanto sulla voglia di leggere storie di qualità – il primo, quello popolare, è stato per decenni sinonimo di intrattenimento.
Ora stiamo assistendo probabilmente al crepuscolo del fumetto inteso come passatempo di massa, surclassato da una sterminata prateria piena di alternative digitali che è talmente ampia e nota da essere troppo lunga da elencare in questa sede.
Oggi i fumetti vengono letti da chi ha iniziato a farlo 15 o 20, o anche 60 anni fa. Di nuovi lettori quasi non se ne trovano più. Basti considerare l’età media del pubblico di Tex, colonna portante della Sergio Bonelli Editore, ben ampiamente sopra i 40 anni: persone che hanno iniziato ad amare questo personaggio da bambini, e che non l’hanno mai più abbandonato. Ebbene, l’eroe bonelliano è passato, in una ventina di anni, dal vendere più di 500mila copie al mese a poco meno della metà attuali. Per non parlare di un altro gioiello dello stesso editore, Nathan Never, passato nello stesso arco di tempo da 180mila copie mensili alle odierne 45mila. Gli addetti ai lavori sembrano rassegnati: ormai considerano un successo semplicemente il non perdere ulteriormente copie.
Lo stesso accade per il fumetto rivolto all’infanzia. La rivista ammiraglia che punta a questo target, Topolino, in vent’anni è passata dal vendere quasi un milione di copie a settimana, alle attuali 180mila. Sono ancora tantissime, è vero. Ma i numeri del vistoso calo sono impressionanti e non possono che fotografare una tendenza, inquietante per tutti coloro che il fumetto lo amano e soprattutto per chi, nel campo del fumetto, ci lavora.
Il pubblico trova (o forse dovremmo dire, cerca) sempre meno nel fumetto una forma gratificante per passare il proprio tempo libero. E questo ha ben poco a che vedere con la qualità dei prodotti offerti: il livello medio dei fumetti venduti nelle edicole italiane è molto buono, spesso ottimo, e a volte ci regala persino dei capolavori.
Come provare a invertire la tendenza e trovare nuovi lettori? E’ un grattacapo ricorrente da anni, a cui non hanno saputo trovare una soluzione i vari restyling delle testate o le grandi trovate narrative. Qualche editore sta provando a puntare decisamente sulle applicazioni per tablet e smartphone, e, a parere di chi scrive, è il cavallo su cui puntare. Solo il tempo dirà se è quello vincente.
L’alternativa non è comunque così tragica. Significherebbe semplicemente la trasformazione del fumetto popolare in fumetto d’autore. Si passerà cioè da un fumetto rivolto a tutte le bocche, ad uno destinato ai soli palati fini, con albi in edicola notevolmente più cari nel prezzo e acquistati dai soli lettori appassionati.

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