In ogni famiglia adottiva si festeggia sempre un compleanno in più rispetto al numero dei componenti. È il giorno in cui la famiglia è nata, una ricorrenza strana e emozionante. Strana perché dopo un anno che i bambini sono arrivati sembra che siano con te da sempre e quindi ti sembra un tempo incoerente, sballato. Emozionante perché come fai a non ripensare a quei giorni alla luce dei cambiamenti avvenuti? Se chiudo gli occhi li rivedo ancora: tutti e tre in fila che stringevano gli zainetti che avevamo portato loro con lo sguardo smarrito. Poi, a una piccola spinta della direttrice, sono corsi verso di noi ridendo, così, senza capire bene, come fanno i bambini quando si ritrovano in gruppo a fare una cosa inaspettata. Non siamo saliti subito in macchina (per evitare l’effetto fuga-da-Alcatraz), ma abbiamo percorso a piedi tutto lo sterrato che separava l’istituto dalla strada principale, tenendoci per mano e insieme con le persone che fino a quel momento si erano occupate di Sofia, Anna e Vladi. Poi i saluti, i baci, e tutti dentro il pulmino per il lungo viaggio verso l’Italia che – soste burocratiche incluse – sarebbe durato diversi giorni.
“Ti ricordi quel giorno?”, ho chiesto esattamente un anno dopo a Sofia. “Sì, avevo un vestito bruttissimo, meno male che mi avevi portato dei pantaloni”. Non era vero che il vestito era brutto, anzi nasceva come una cosa elegante, con pizzi fiocchi e decori magari non proprio fatti a mano ma insomma… Inutile dire che da quel giorno Sofia non ha mai più indossato una gonna.
Per il Family Day abbiamo pensato di cenare a casa tutti e cinque, e il pomeriggio abbiamo preparato un ciambellone. A ognuno di loro avevamo fatto come regalo un album di foto da riempire ognuno con le proprie (basta giochi, non se ne può più). Non ero certa che avrebbero apprezzato, ma mi sbagliavo, erano molto contenti di avere un libretto ciascuno, e per giorni lo hanno mostrato a chiunque passasse a trovarci. Tutta la cena è trascorsa a fare piccoli amarcord. Anna voleva che le dicessi le frasi russe che pronunciava più spesso, e Vladi, che parla male ma ha una gran voglia di fare conversazione, si sporgeva dalla sedia allargando la bocca per simulare tutte le volte che aveva vomitato nel pulmino. Non potró mai dimenticare l’espressione del nostro autista quando, alla terza ora di viaggio, avevo già avuto a che fare con due scariche di vomito, una di cacca, due pipì sul ciglio della strada e la paura che potessimo essere investiti tutti quanti da un camion in corsa. Lo guardai credo disperata, e lui mi rispose sorridendo: “Adesso è affar vostro”.
Durante la preparazione del dolce era passata a salutare una zia, e Sofia le aveva subito detto: “Sai, questa sera festeggiamo il compleanno perché è un anno che siamo arrivati qui”. Anna, che ha ancora qualche confusione sulla temporalità, aveva aggiunto: “Ma un anno è come dopodomani?” E Sofia: “Mamma, questa qui ha quasi 5 anni e ancora non ha capito la differenza fra un anno e dopodomani”. Rivolgendosi poi alla sorella: “Non capisci niente, un anno fa è quando eravamo appena nati”.
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