Trasparenza e Merito. L'università che vogliamoIl giudice, l’aborto, la donna e la macchina del tempo

Ci risiamo. Con la solita puntualità, dopo qualche tempo, si torna a mettere in discussione la legge 194. E' un leit motiv che si ripropone sempre, soprattutto quando la politica e il governo appai...

Ci risiamo. Con la solita puntualità, dopo qualche tempo, si torna a mettere in discussione la legge 194. E’ un leit motiv che si ripropone sempre, soprattutto quando la politica e il governo appaiono deboli e prestano il fianco alle pressioni di poteri esterni.

Il 20 giugno la Corte costituzionale è chiamata ad esaminare la legittimità dell’art. 4 della legge sull’interruzione della gravidanza. Il motivo? Un giudice del tribunale di Spoleto ne ha chiesto il riesame a seguito della vicenda che ha visto protagonista una giovane donna (minorenne) che senza coinvolgere nella sua decisione i genitori si è rivolta al consultorio manifestando fermamente e consapevolmente la propria volontà di non portare a termine la gravidanza. Il giudice che ha chiamato in causa la Consulta ha usato come grimaldello la tutela dell’embrione sancita dalla Corte europea per i diritti dell’uomo e la salvaguardia della salute dell’individuo sancita dalla Costituzione. Evidentemente la donna in questione avrebbe dovuto, a suo avviso, contro la propria stessa volontà, portare a termine la gravidanza per salvaguardare il diritto alla vita del nascituro. Sembra di essere tornati indietro, come attraverso una macchina del tempo, agli anni bui dell’Italia oscurantista e senza diritti. Ma c’è di più. Il punto dirimente, per il giudice, non è la minore età della donna, quanto una direttiva comunitaria sulla protezione giuridica delle biotecnologie, che comprenderebbe l’embrione umano. Quindi riguarda il diritto di aborto nel suo complesso.

A questo punto è bene far subito presente due importanti precedenti storici. Il primo: già nel lontano 1959 l’Assemblea delle Nazioni unite nella Dichiarazione dei diritti del fanciullo aveva sancito il suo diritto alla vita, quindi anche a quella del nascituro. Il secondo: la Costituzione italiana del 1948 aveva affermato con chiarezza e in modo inequivocabile il diritto alla vita. Ma questi principi sanciti a livello italiano ed europeo non hanno impedito, nel 1978, ad un parlamento di votare una buona legge come quella sull’aborto, che ha resistito nel tempo, ha quasi estirpato del tutto la piaga degli aborti clandestini, ed ha diminuito fortemente, più in generale, il numero degli aborti. Non hanno impedito che un referendum popolare, nel 1981, riconfermasse, secondo il parere della maggioranza degli italiani, quella stessa legge. Peraltro va ricordato, per dovere di precisione, che proprio l’art. 4 era stato uno tra gli articoli presi di mira dal Movimento per la vita e dai cattolici intransigenti attraverso il referendum proposto per l’abrogazione.

La cosa che viene spontaneo chiedersi, in questi frangenti, è come si può pensare che nonostante il parere della diretta interessata, cioè a dire della donna (che poi sia minorenne questo è un altro discorso, ma proprio per questo motivo la legge aveva pensato al mezzo dissuasivo del consultorio), qualcun altro, che sia lo stato, o che sia la chiesa, o che sia il giudice tutelare, o che sia il medico, possa decidere per lei. E’ una idea aberrante, coercitiva, anti-democratica, solamente anche il poterla concepire. La visione che emerge da chi vuole rivedere l’impianto della legge 194, a partire dalla costituzionalità dell’art. 4, è che la donna sembra interessare non già in quanto persona autonoma e libera che decide, ma come strumento biologico. Cioè a dire, i valori preziosi della sua vita personale, delle sue scelte, delle sue difficoltà, dei suoi dubbi, non hanno valore alcuno rispetto all’inesorabilità della macchina biologica di cui il suo corpo è sede, rispetto all’inalienabile salvaguardia di un embrione. Partorisca, dunque, la minorenne il bambino che a stento sarà in grado di assistere, poco importa con quali problemi a venire, per il nascituro quando sarà persona, per lei stessa, per la sua famiglia, per lo stato.

Appare evidente che un embrione umano, senza la donna consapevole e consenziente alla sua nascita, è poca cosa. Inoltre, proprio la minore è invece quella che deve essere assolutamente tutelata. La minorenne, che un tempo è stata l’area più rilevante della clandestinità negli aborti, è la più debole anche oggi, in un mondo dove quelli che alimentano le spinte dell’economia al consumismo sono gli stessi che vogliono rimuovere tutti i problemi che mettono in crisi il loro concetto di morale. La verità, amara da dirsi, è che, dopo più di trent’anni dall’approvazione della legge, manca ed è sempre mancata, nei grandi partiti e nella chiesa, ma più o meno consapevolmente in tutti noi, la volontà di rimeditare completamente il ruolo della donna e della famiglia nella nostra società. E’ su questo punto che, aborto o meno, si dovrebbe discutere.

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