Thin(k) FreedomIl loop irrisolvibile che sta distruggendo l’Europa

(Parte 1) L'altro giorno pensando alla crisi europea mi è venuto in mente il cosiddetto "paradosso della forza inarrestabile", che tenta inutilmente di trovare una risposta alla domanda "What happe...

(Parte 1)

L’altro giorno pensando alla crisi europea mi è venuto in mente il cosiddetto “paradosso della forza inarrestabile“, che tenta inutilmente di trovare una risposta alla domanda “What happens when an unstoppable force meets an immovable object?“. Mi sembra che anche nel nostro caso si possa dire che la crisi è degenerata in modo tale che le diverse parti, dietro un’apparente operosità, restano nell’immobilismo più totale, schiacciati da una situazione dalla quale non riescono a venire a capo.

Lo si vede anche dal livello del dibatto, dove si nota come crisi europea, rigore tedesco e default della Grecia abbiano ormai nauseato anche i più stoici geek dell’economia. Ormai se ne parla quotidianamente da oltre due anni, ma potendo fissare l’origine di tutto ben più indietro nel tempo: come ricorda il Telegraph la Grecia ammise per la prima volta di aver mentito sullo stato dei propri conti pubblici già nel 2004. Ripeto, nel 2004, otto anni fa (Facebook era ancora un social network sperimentale interno ad Harvard, per dire).

In questi anni le cause sono state sviscerate e illustri economisti, statisti e giornalisti hanno scritto migliaia di articoli e saggi. A questo punto i nodi fondamentali sono al pettine, e pur nelle diverse convinzioni ideologiche, fra destra e sinistra, liberisti e keynesiani, su alcuni aspetti centrali c’è quasi un consenso unanime.

Ma la cosa surreale è che questo non cambia di una virgola la situazione. L’Europa si trova in una di quelle situazioni in cui tutti si rendono conto dei problemi, si sono fatti un’idea di cosa sarebbe necessario fare per risolverli, ma non riescono/vogliono/possono ad agire in tal senso. Se fossi un romanziere troverei degli eleganti parallelismi fra questa irrisolvibilità e i problemi di una coppia logorata che non è in grado di riscoprire motivi per stare insieme e di inventarsi nuove azioni per rimettere a posto le cose. Ma sono un arido economista wanna-be, quindi non posso che ripiegare su riflessioni pragmatiche e tecnocratiche.

Ed è da qui che nasce la mia visione del problema cruciale dell’Europa (anzi, dell’Eurozona) come un loop (ciclo) in cui soluzione chiama ulteriore problema, e alla fine del ragionamento ci si ritrova al punto di partenza.

Mi spiego, partendo dal principio:

1. Ha ragione chi dice che lo squilibrio intra-europeo non è solo fiscale (debito e deficit) ma anche commerciale. Lo ripete da tempo Mario Seminerio, facendo notare come il surplus commerciale della Germania trovi sfogo nell’acquisto di titoli di debito dei paesi mediterranei (come fanno i cinesi con i titoli USA). Poiché è evidente che a livello aggregato il pianeta è in pareggio, è altrettanto ovvio che se ci sono dei paesi in surplus ci devono essere dei paesi in deficit. A meno che ovviamente l’Europa nel suo complesso non sia in surplus, ma l’ipotesi è francamente irrealistica.

2. Nonostante il discorso di Phastidio sia giusto credo non vada messo in secondo piano l’aspetto fiscale della crisi: il ruolo delle partite correnti non deve far dimenticare che il “Club Med” (evito l’acronomo PIGS per amor di patria) non ha mai attuato quelle politiche di risanamento dei conti che sarebbero state necessarie, e che sarebbero state di certo meno traumatiche se iniziate in un momento di espansione economica invece che durante una contrazione. Ha ragione chi dice che manovre di decine di miliardi di euro durante una crisi al 99% non faranno che peggiorarla, ma questo non fa che aumentare le colpe dei governanti del decennio passato (di destra e di sinistra). Che l’Italia abbia offerto per almeno due decenni prestazioni di welfare superiori a quello che poteva permettere la crescita dell’economia è cosa evidente a chiunque non abbia fette di prosciutto sugli occhi. Se avessimo pensato a risolvere i problemi per tempo invece che procrastinare, forse non saremmo in questa situazione.

Un’immagine come questa credo sia mortalmente chiara: gli spread non sono frutto dei cattivi speculatori, ma di un rischio sovrano già evidente in passato che è stato appianato dalla nascita dell’euro, abbattendo gli spread ad un irrealistico (e basso) valore comune. Questo ha permesso a molti paesi che avevano già avuto grosse crisi negli anni ’90 di ricominciare a finanziarsi a debito pagando tassi d’interesse più bassi del valore di equilibrio: tutto ciò ha permesso a paesi come l’Italia di risparmiare diverse decine di miliardi di euro di interessi, e di evitare di guardare in faccia i problemi per qualche altro anno. Si è vissuto nell’illusione che Italia, Grecia, Germania e Olanda avessero la stessa produttività e lo stesso stato nei conti pubblici, anche se evidentemente non sarebbe potuto andare avanti per molto. L’idea che la moneta comune avrebbe garantito i debiti di tutti è stata una pia illusione, e lo abbiamo scoperto con dolore.

3. Noti questi antefatti, le soluzione “teoriche” sono note. Senza la moneta comune, alcuni stati potrebbero svalutare per recuperare competitività, così da compensare la minore produttività della propria economia. Personalmente sono convinto che questo non sia altro che un “trucco” monetario, che evidentemente funziona solo se gli altri paesi non fanno lo stesso, o non mettono in atto ritorsioni per contrastare l’azione svalutativa. Ed è anche una soluzione miope, perché non risolve alla radice i fondamentali dell’economia, cioè l’innovazione, gli investimenti in ricerca, la formazione del capitale umano, la finanza pubblica in ordine, la semplicità burocratica e fiscale, ma mette una pezza che permette ai politici di non occuparsene per un altro po’ di anni (visto che interventi di questo tipo inciderebbero profondamente un paese ingessato come il nostro).

Ma ammetto che nel breve periodo la svalutazione potrebbe essere una soluzione per permettere di respirare e mettere in atto riforme strutturale (sempre ammettendo una volontà e un coraggio della politica in tal senso, ma mi viene quasi da ridere).

Tolta la politica monetaria, resta solo quella fiscale. E da qui il massacro di tasse che ci sta colpendo in questi mesi. Avrei voluto dire “massacro di tagli”, perché è sempre meglio aggiustare diminuendo le uscite (spese) che aumentando le entrate (tasse). Purtroppo di essi non vi è traccia, così abbiamo aggiunto alla fatica di un risanamento in recessione un risanamento basato su aumenti di imposte invece che sui tagli di spesa. Ci sarebbe da vincere il premio per l’autolesionismo.

4. Ma oltre alla politica fiscale interna ai paesi, c’è anche quella chepotrebbe essere impostata fra paesi. E’ la famosa questione dei trasferimenti fiscali da paesi virtuosi a quelli “viziosi”, chiaramente osteggiati dalla Germania. Germania che, è bene ricordarlo quando la si tratta come il nuovo dittatore d’Europa, ha già sborsato centinaia di miliardi di euro per finanziare le risposte alla crisi e i vari aiuti ai paesi in difficoltà, e che ha guadagnato meno di tutti gli altri dall’introduzione dell’euro (come ha spiegato Michele Boldrin in diverse occasioni).

Quindi, al netto della retorica nazionalista e anti-crucco, la Germania deve essere biasimata per le politiche temporeggiatrici e “tampone”, che unitamente alla mancanza di visione hanno di fatto peggiorato la crisi. Probabilmente la Merkel non è quello statista al di sopra dei comuni mortali che speravamo, ma un politico che come tutti è preoccupato della sua opinione pubblica e della sua rielezione. La Storia probabilmente la giudicherà per questo, e non ne uscirà bene. Ma neanche noi in questo campo siamo stati particolarmente autocritici, visto che fino alla primavera scorsa il governo ancora cianciava di una forza-paese inesistente, mentre la Grecia ha passato 2 anni dopo gli aiuti a non guardare in faccia la realtà e la Spagna ancora in queste settimane fa finta di non vedere il suo sistema bancario al collasso.

La questione dei trasferimenti è centrale perché coinvolge i famosi “eurobond“, titoli di stato emessi in comune dai vari paesi dell’Eurozona, di modo che il rischio dei titoli e il loro rendimento sia proporzionato alla media dei rischi-paese di tutti gli stati coinvolti. Questo “risk pooling” dovrebbe garantire rendimenti più bassi e maggiore tranquillità degli investitori, che saprebbero che i loro titoli hanno una garanzia fornita dai paesi più virtuosi a bilanciare i rischi dei paesi deboli. Ovviamente questo significherebbe un aumento dei rendimenti dei paesi nordici, che non potrebbero più prendere a prestito ai tassi attuali ridicolmente bassi, e vedrebbero il loro merito di credito intaccato dalla precarietà dei paesi Med.

A questo punto ci sta un bel “Che fare?” di leniniana memoria. Domani provo a spiegare perchè l’unica soluzione efficace è anche la meno realizzabile.

(continua)

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