Una delle prime cose che sorprendono, arrivando a Banja Luka, la capitale dell’entità serba di Bosnia Erzegovina, è il numero elevato di persone che decidono di spostarsi in bicicletta. Non è esattamente il mezzo di trasporto più popolare nel resto del paese. “Sulla bici io ci vivo”, dice Dejan, 26 anni : “è così che mi sono procurato questi”, aggiunge, mostrando i due gessi che gli ricoprono i polsi. Le fratture non gli hanno impedito di passare le sue giornate presidiando un parco pubblico che nella sua città rischia di diventare presto un ricordo, il “Picin Park”. Armato unicamente di un piccolo computer portatile, è riuscito insperatamente a diventare il leader di una protesta che giorno dopo giorno si è ampliata fino a portare in strada tremila persone : una cifra che nella società bosniaca è considerevole, soprattutto vista la mancanza di qualsiasi appoggio politico.
E’ in effetti molto raro che la società civile si organizzi spontaneamente, in Bosnia Erzegovina. La Comunità Internazionale ha investito enormi somme durante il dopoguerra per ricostruirne il tessuto. Ma i risultati sono scarsi. “E’ una grande soddisfazione vedere che finalmente la gente qui reagisce. I problemi che abbiamo di fronte sono noti a tutti noi, quello che ci mancava era un’occasione, un simbolo per iniziare la nostra contestazione”, sostengono gli organizzatori.
In passato Banja Luka era nota in tutta l’ex Jugoslavia per essere una “città verde”. Ricca di spazi comuni e di parchi pubblici. Tuttavia, già con il terremoto del 1969 le cose cominciarono a cambiare. La città venne rasa al suolo e la ricostruzione non venne attuata nel rispetto di quanto era stato perduto. Ma la speculazione edilizia diventò particolarmente drammatica soltanto nel dopoguerra. L’attuale sindaco della città, Dragoljub Davidović, è stato ribattezzato sarcasticamente “Zgradoljub”: “l’amante degli edifici”. Il monopolio politico dell’SNSD di Milorad Dodik ha favorito negli ultimi anni l’intreccio di affari tra costruttori e politici. Il “Picin Park” è stato reso terreno edificabile ed ora proprio il padrino di battesimo di Dodik, Mile Radišić, è riuscito ad ottenere il permesso per costruire un complesso residenziale.
Dejan è l’organizzatore della protesta, capopopolo suo malgrado. Per strada lo salutano anche i bambini e lui risponde tra l’imbarazzato e lo stizzito: “non volevamo avere una gerarchia. Io ho solo creato il gruppo facebook. E’ stata una reazione naturale, dopo aver saputo del progetto: la celebrità mi mette a disagio”. La voce si è immediatamente sparsa attraverso la rete. Dopo pochi giorni, la pagina aveva ottenuto più di quarantamila sostenitori. Senza supporto dei media che, monopolizzati dalla politica, si sono premurati di non dare alcuna eco alla protesta. L’iniziativa da virtuale si è presto fatta reale e svariate centinaia di persone hanno occupato il parco, organizzando una settimana di proteste.
“Avere dietro di te quarantamila persone ti attribuisce improvvisamente peso politico. La gente non poteva più ignorarmi. E così ho cominciato a ricevere proposte per concludere un accordo: ‘quanto vuoi per lasciarci in pace?’ Mi chiedevano. Qui tutto finisce così, solitamente. In cambio del tuo silenzio, ti offrono qualcosa. Potrei chiedere facilmente un appartamento nei condomini che stanno costruendo, o un posto in politica. Ma ho sempre risposto che non rappresento nessuno e che non voglio alcunché”. Ci sono state, ovviamente, anche le intimidazioni. Gli organizzatori della manifestazione sono stati minacciati di querela. E di ritorsioni che con gli avvocati hanno poco a che vedere. Ma Dejan per il momento non ci fa caso: “le braccia sono già sufficientemente malandate. Se la dovranno prendere con le gambe, perché è tutto quello che mi resta”.
Dopo le proteste, il “Picin Park” è stato recintato. I manifestanti sono stati cacciati dalla polizia ma non sembrano demordere. Fra di essi, persone di ogni estrazione sociale e di tutte le età. Qualche giornalista locale, stufo di questa situazione, si è unito a loro a costo di perdere il lavoro. Ci sono persino gli Ultras del Borac, la squadra di calcio della città: uno sport che qui più che altrove ha il sapore della politica. Soprattutto, ci sono moltissime giovani famiglie con bambini. Espongono striscioni con la scritta, in cirillico: “Park je Naš”, il parco è nostro.
La protesta è circoscritta al locale ma può essere molto importante per tutto il paese. Per Srđan Blagovčanin, direttore di Transparency International BiH, “questa manifestazione può essere un punto di svolta. Niente di questo genere è mai accaduto a Banja Luka per anni. Il messaggio che questi cittadini mandano oggi è fondamentale: i politici non possono pensare di utilizzare lo stato come fosse loro proprietà esclusiva”.
E’, al contempo, un segnale di cambiamento che arriva a pochi mesi dalle elezioni amministrative, che si terranno in autunno. E che potrebbero portare alla fine del monopolio politico dell’SNSD, a patto che il movimento non perda compattezza e l’opposizione riesca ad esprimere un candidato presentabile: qualcuno che sia espressione del cambiamento, e non semplicemente uno dei tanti tycoon di cui la nazione abbonda. Con un poco di fortuna, il resto del paese potrebbe seguire.
(nel video qui sotto: dei manifestanti bloccano i mezzi incaricati di tagliare gli alberi nel corso del quinto giorno di protesta. La foto è di Aleksandar Trifunovic).