Alexanderplatz auf Wiedersehen, c’era la neve ci vediamo questa sera fuori dal teatro: “ti piace Schubert?” Sono le parole recitate da una famosa canzone di Franco Battiato e che da questa mattina mi risuonano nella testa. Forse il mio inconscio vuole ricordarmi che esattamente due anni fa ero a Berlino.Lunedì 7 giugno 2010 la sveglia suona prestissimo. Indosso un rigoroso tailleur scuro, salgo su trampoli di 12 cm, affronto una piccola trafila burocratica, ricevo il pass e, per me si aprono le porte del Parlamento.
Ora posso entrare nel Deutscher Bundestag; destinazione Commissione Politiche Internazonali, partito Die Linke. Impaziente, timorosa ed emozionata opziono il cervello per parlare un tedesco formale e, Guten Tag!
E’ già pronta la mia scrivania, il computer è davvero personal e nessuno da questo momento può accedervi se non io con la mia password. Ho un indirizzo mail per comunicare con tutti, o quasi, i membri del Parlamento. Un discorso di benvenuto, le presentazioni sono fatte, mi si chiede di appuntare un numero, è quello della mia linea telefonica diretta. Sono incredula ma felice. Oggi è un giorno fantastico, mi ripetevo, non resta che prendere posto e ambientarmi.
Immediatamente mi rendo conto che non sarà come in Italia dove durante il primo giorno di scuola/lavoro semplicemente ci si conosce. Il mio capo, senza perdere tempo in inutili convenevoli, mi consegna una pila di materiale da leggere e mentre i miei pensieri si affollano a rafforzare alcuni dei luoghi comuni più frequenti sui tedeschi, ecco che di colpo quell’immaginario di precisione, puntualità e correttezza, vacilla.
Mi imbatto nella donna che doveva essere il mio punto di riferimento a Berlino e che, invece, diventa il mio incubo. Userò un nome fittizio, la chiamerò Frau Blücher come il sinistro personaggio del film “Frankenstein Junior” di Mel Brooks. Sappiate che tutti, prima o poi, ne incontriamo una.
A pensarci, ancora nitrisco!
Quella donna mi ha fatto conoscere l’altra faccia della Germania: quella menefreghista, inaffidabile e disorganizzata. E’ davvero difficile da credere; si fatica a lasciar cadere cliché così radicati anche di fronte alla conoscenza di certi tedeschi, a colleghi spesso in ritardo, altri che hanno un certo gusto nel vestire. Sorrido, ma è così anche per loro nei nostri confronti e a volte capita di sentirsi dire: “Parli bene tedesco per essere italiano“.
La caduta di certi pregiudizi sarà forse aiutata dalla globalizzazione che omologa sotto un’unica tendenza sociale, politica ed economica. Per ora, mi sembra che, per quanto riguarda tedeschi e italiani, essa abbia solo favorito l’assorbimento dei loro rispettivi aspetti negativi.