ÈvvivaL’altra faccia delle mamme

Forse, la maggior parte dell’odio degli uomini nei confronti delle donne viene dalla consapevolezza che il cosiddetto “sesso debole” sia in realtà dotato di una forza quasi sovrumana, che la natura...

Forse, la maggior parte dell’odio degli uomini nei confronti delle donne viene dalla consapevolezza che il cosiddetto “sesso debole” sia in realtà dotato di una forza quasi sovrumana, che la natura ha dato solo alle femmine, quella di mettere al mondo altre vite.

Guardatele, le donne incinte, in attesa. Immaginatele in primavera. Sono vestite di abiti leggeri che scendono morbidi, spesso colorati. Camminano leggere, nonostante il peso della pancia, peso che sono costrette a portare. Capelli spesso sciolti sulle spalle, pelle rosa, liscia, della consistenza di pesca, distesa, anche se non dormono da giorni. Sono luminose e sorridenti. Altezzose e fiere. Camminano a testa alta e passo fermo, con la presenza di matrone romane, eppure quasi eteree come vestali. Sembrano immobili, eppure dentro di loro freme la vita. Sono piene di vita. Portano in grembo una futura persona, che non fa che crescere e cambiare sotto la loro pelle, ingrandirsi, assumere forme e sembianze diverse ogni giorno, ogni ora, un essere umano altro da loro che pure si nutre e respira attraverso di loro. Sono donne estremamente potenti e lo sanno. Hanno una forza che è difficile quantificare, perché supera tutto. Sovrastano, con la loro potenza, quella di tutto il genere maschile, che non potrà mai dare la vita a nessuno, solo a opere dell’ingegno, ma non a persone. Aspettano che il loro figlio o la loro figlia nasca, per dimenticarsi di se stesse (e dei loro uomini) per qualche tempo e pensare solo ad accudire la nuova vita e favorirla nel passaggio.

Un miracolo. La natura ha dato loro questa possibilità grandiosa. Dopo, qualcuna di loro ricomincerà a vivere la sua vita, insieme a quella dei suoi figli. Insieme. Altre, invece, no, resteranno sempre sotto e vivranno contro. Quando riusciranno a vivere.

È di queste che si parlerà in questo blog nei prossimi dieci giorni. Di quelle che non vi hanno mai raccontato la verità. Di quelle a cui nessuno l’ha neppure mai chiesta, la verità, perché troppo impegnativa. Di quelle che riconoscono la fortuna meravigliosa e immensa che hanno avuto nel mettere al mondo dei figli. Che ogni volta che guardano i propri bambini si sentono il cuore pieno di mille colori. Di quelle che sanno quant’è duro il mestiere di mamma, quanto costa, quanto ti succhia e quanto ti sottrae. E quanto ti dà in termini di cose sconosciute a tutti. Ogni esperienza diversa da quella delle altre. Di quelle che non hanno sempre vissuto la maternità come un’estasi paradisiaca, né durante né dopo. Delle donne il cui ruolo la società dà per scontato. Perché se nasci donna sei destinata a riprodurti, anzi, peggio, ad essere il tramite attraverso cui il maschio si riproduce. Perché le donne hanno una marcia in più ma mille sostegni in meno.

Di quelle che ci hanno pensato almeno una volta a quant’è dura, ma che la società relega in un ruolo spesso insostenibile e poi se ne dimentica fino a quando non è troppo tardi. Di quelle che vengono colte da quella strana sindrome che si chiama depressione post parto, di cui non si può neppure parlare, a meno che non si legga in qualche saggio scientifico. Perché la depressione è una brutta cosa, fa paura anche solo pronunciarla quella parola, la depressione magari contagia, perciò teniamola a distanza, ma poi, che esagerazione parlare di depressione, è solo un momento difficile, ci siamo passate tutte, poi passa. E invece no, ad alcune non passa. Alcune non ce la fanno da sole, neppure aiutate ce la fanno e dalla prigione che si sono costruite dentro finiscono in altre prigioni, sorvegliate a vista per impedire loro di farsi del male. Ma ormai hanno già rimosso, non ricordano nulla perché non potrebbero vivere con quel ricordo. Con il ricordo dell’orrore di cui si sono macchiate.

No, non è di quelle che superano ogni limite pensabile che si parlerà qui dentro. Ma delle altre, di quelle che ce l’hanno fatta. Di quelle che laggiù non ci vogliono più tornare. E di quelle che, pur non essendone ancora fuori, hanno ancora un barlume di speranza negli occhi. Le donne in bilico, spezzate. Ma che continuano a cercare di sopravvivere. E a crescere, sé stesse e i propri figli. Nonostante tutto.

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