L’ultimo rapporto di Confindustria sugli scenari industriali conferma le difficoltà che le nostre fabbriche hanno nel far fronte alla crisi. L’Italia arranca più degli altri Paesi europei, e continua a perdere posizioni rispetto alle economie emergenti. Ma il declino non è iniziato negli ultimi anni.
Se si rielaborano i dati Eurostat sulla produzione industriale, ponendo come anno di riferimento il 1999, e non il 2005, appare evidente che, dalla nascita del sistema di cambi fissi tra le valute europee su cui si è basato l’euro (introdotto materialmente nel 2002) qualcosa nel tessuto produttivo italiano ha iniziato a girare per il verso sbagliato.
L’industria tedesca invece, sembra aver beneficiato enormemente della moneta unica.
Una convinzione che si rafforza osservando i dati Ocse sulla bilancia dei pagamenti, citati da Claudio Borghi su Il Giornale domenica.
[immagine Ocse]
La produzione industriale è un indicatore dal sapore ottocentesco che misura i volumi prodotti in termini di unità assemblate, metri cubi, e parametri simili. Quindi, per assurdo, potrebbe diminuire anche in presenza di una crescita basata sulla qualità, laddove per qualità si intenda la capacità di vendere lo stesso tipo di merce ad un prezzo più alto. Ma nell’ultimo decennio il valore aggiunto dell’industria italiana, cioè la capacità di guadagnare di più utilizzando la stessa quantità di lavoro e materie prime, non ha visto grandi impennate. Insomma, da quando c’è l’euro le fabbriche del nostro Paese perdono colpi.
È una coincidenza?
twitter@pfrediani