Marta, lavora in un’agenzia pubblicitaria, ha due figli e un marito e non è depressa, ma…
Mi sveglio all’alba per godermi dieci minuti di tranquillità insieme al mio caffè nero bollente. Il tempo di riprendere i sensi e inizio a correre. Svuoto la lavastoviglie, preparo gli zainetti per i bambini, rifaccio il letto matrimoniale (mio marito sta dormendo nella stanzetta dei bambini perché il piccolo stanotte era insonne), decido di che umore sono ficcandomi nei vestiti che scelgo, pianifico il pranzo e la cena, appuntando su un foglio la spesa da fare di ritorno dal lavoro, raccolgo i giochi che i bambini hanno lasciato in giro, per dare al salotto una parvenza di salotto e fare in modo che non assomigli sempre più a una ludoteca. Preparo la borsa da lavoro, sperando di non lasciare per strada scadenze e programmi. Raccolgo i panni asciutti, piegandoli in modo da dover stirare il meno possibile, che non c’è mai tempo per stirare, tranne la sera, e la sera arrivo così stanca che non vedo neppure più le pieghe da stendere, stendo la lavatrice che ho fatto andare di notte per risparmiare sul consumo. Guardo l’orologio affannata. Pare che nella mia vita non faccia altro che guardare l’orologio, stendere panni ed essere affannata, a volte. Sveglio bambini e marito. Il marito si sveglia sempre lentamente, rallentandomi le manovre, i bambini invece saltano su come grilli e io inizio a rincorrerli da quando mettono piede giù dal letto. Inizia la battaglia. Giovanni vuole fare prima colazione e poi vestirsi, Francesco è insofferente al pigiama e vuole che lo lavi subito. Metto pace tra tutti e due per la macchinina che si contendono, rifaccio i letti, apro le finestre, spazzo le briciole da terra. Prego mio marito di accelerare la pratica, che devo portare i bambini a scuola e intanto penso che non ho firmato nessun contratto per cui devo portarli sempre io. Mi trucco alla meglio, scelgo collana e orecchini, combatto contro il rumore delle voci dei cartoni in televisione accendendo la radio nel bagno. Prendo un bambino e lo vesto, cercando di non arrabbiarmi perché fa i capricci. Guardo mio marito fare colazione sereno, senza guardare mai l’orologio (ma come fa?). Io invece lo guardo, l’orologio, e si fa sempre più tardi, i bambini devono entrare a scuola e sono già in ritardo. Non conta a che ora mi sveglio, sono sempre in ritardo. Chiamo l’altro, almeno dieci volte, finché non si decide a venire e a farsi vestire. Riprendo entrambi almeno cento volte mentre chiudo la borsa, perché rischiano di sfracellarsi da qualche parte nei loro giochi mattutini. Infilo il grembiule a tutti e due, lo zainetto sulle spalle e li trascino verso scuola. Le solite raccomandazioni, le solite richieste, li guardo entrare in classe e poi mi precipito verso la metro, di corsa, ho un sacco di lavoro da sbrigare che oggi il pomeriggio è un inferno, hanno lo sport e ce li devo accompagnare, però ho quella scadenza di lavoro per domani che mi ammazza. Lavoro, lavoro come una matta, tra telefono e computer e strada affollata e metro di fuoco. Arrivano le quattro in un attimo e sono di nuovo fuori scuola, il momento più incasinato della giornata. I bambini escono adrenalinici e indiavolati e ne ho due da controllare e le mamme che ne hanno uno solo lasciano il loro scorazzare indisturbato per i corridoi, che si butta addosso ai miei e io non riesco neppure a ficcar loro la giacca. Bestemmio in silenzio contro il menefreghismo di queste mamme con le unghie laccate e i capelli fatti, ma come cazzo fanno? Io non ho mai il tempo neppure di farmi una ceretta. Li prendo per mano e li tengo stretti. Il grande cerca di divincolarsi perché vuole raggiungere gli amici, il piccolo si butta per terra perché fa il teatrino. Mi invento un gioco per arrivare a casa, poi in ascensore iniziano le richieste: la merenda, il cartone, il giochino, la maglietta di Ben Ten, l’acqua, il succo, la coca cola. A volte sembra che i miei figli abbiamo solo richieste, tutto il tempo, e tutto un ripetere di “mamma, mamma, mamma”. A volte quel “mamma” mi risuona nelle orecchie anche mentre sono al lavoro, quando bambini intorno non ce ne sono. Mi arriva una telefonata di lavoro e non rispondo, fanno troppo chiasso, richiamerò io più tardi. Li metto seduti a tavola e gli do la merenda, mentre svuoto gli zaini e metto a posto i grembiuli. Prendo i panni da fuori e piego anche quelli. Mi tolgo un attimo le scarpe, che i piedi stanno impazzendo. Giusto trenta minuti, poi c’è lo sport. Di corsa in palestra con tutti e due, li rispoglio e li rivesto. Un’ora a parlare con le mamme esaurite come me, a pensare al lavoro da fare. I bambini urlano, ma faccio comunque quella telefonata di lavoro. Devo finire una cosa, prego Dio che al ritorno me la facciano fare. Finisce l’ora di sport e li asciugo del sudore, li rivesto, li trascino verso casa mentre per strada vogliono ciascuno qualcosa. Torno e sono ancora adrenalinici. Ma come fanno? Sono le sei e io sono a pezzi. Mi tolgo di nuovo le scarpe, li sistemo con un gioco e la tv, giusto mezz’ora, ho bisogno di finire un lavoro. Mi metto al computer e continuano le loro richieste, li supplico di aspettare un attimo, che se finisco questo lavoro mi danno dei soldi per comprare loro un giochino. Mi metto a scrivere con uno dei due in braccio, che non posso usare tutte e due le mani sulla tastiera. Scende e sale di continuo dalle mie ginocchia, l’altro mi spinge per attirare la mia attenzione e ogni tanto mi strattona la manica della camicia. Sudo. Riesco a finire il lavoro con un’ansia addosso che non si sa. Ho paura di aver sbagliato qualcosa, ma tanto non c’è la tranquillità per rileggere. È un rischio, vivo su un filo. Sono adrenalinica anche io, adesso, oltre che stanca morta. Sono solo le sette e di nuovo sono in ritardo. Li lavo, a turno, faccio il tocco ma c’è sempre lo scontento. Doccia e shampoo, mi fa male la schiena. Mi guardo allo specchio, dovrei lavarmi i capelli, ma non ce la faccio, penso che domani mi sveglierò alle 5 per mettermi a posto. Li asciugo, li pettino, metto il pigiamino nuovo a tutti e due, intanto ho messo l’acqua sul fuoco, che devono cenare. Sono ancora frenetici, corrono dappertutto, si arrampicano, sono pericolosi, coinvolgo il grande nelle operazioni di cucina, lo faccio salire sulla sedia e gli faccio sciacquare le pentole nel lavandino, che gli piace l’acqua. Dopo dovrò pulire tutto, ma almeno posso cucinare in tranquillità. È pronto, li metto seduti e mi barcameno per farli cenare, mentre mi spoglio e metto il pigiama davanti a loro, ormai non ho più segreti, io e il mio corpo. Mentre li imbocco mi strucco, poi mi metto la crema antirughe, l’unica concessione che mi faccio per la bellezza serale. Mentre finiscono di mangiare carico la lavastoviglie e allestisco la cena per me e mio marito, roba semplice, che sono talmente stanca che non ho neppure fame. Mi metto sul divano coi bambini a leggergli una storia. Arriva lui, allegro e fresco nonostante la giornata di lavoro. Si spoglia, lascia tutto il giro, vestiti, borsa da lavoro, briciole di patatine. Appena arriva deve mangiare qualcosa, Dio, che fastidio. Poi si mette a giocare alla Play Station insieme ai bambini. Ma loro si distraggono dopo poco e iniziano a litigare. Lui non li sente nemmeno. A volte pare che li sento solo io, per questo forse dicono sempre e solo “mamma, mamma, mamma”, perché tanto sanno che di là non c’è nessuno che si affanna. Sono schegge impazzite, è ora di portarli a letto. Preparo l’acqua da mettergli vicino per la notte, apro i lettini, li porto a lavarsi i denti. Mio marito li accompagna a dormire, io apparecchio, riscaldo la cena, lo aspetto sul divano mentre addormenta i bambini. Ma sono talmente stanca che mi addormento. Torna e mi trova che quasi sto russando e si chiede perché. Perché? Ma come, perché? Sto sveglia dall’alba e sto appresso alla nostra vita tutto il giorno, anche quando non ci sei, ecco perché. Ci mettiamo a tavola e risolviamo alcuni problemi pratici. C’è da pagare la bolletta, vado io, c’è da pagare il condominio, ok, vado sempre io. Sì però in lavanderia ci vai tu, cazzo, che scendi che è già aperta, io dopo coi bambini non riesco a portare pure le tue giacche. Sparecchiamo, ricarico la lavastoviglie, avvio la lavatrice, innaffio le piante lo raggiungo sul divano. Apro il libro e leggo due pagine, e mi addormento. Lui si arrabbia perché mi viene sempre il sonno all’improvviso. Ecco, io non sono depressa, sono proprio incazzata, perché tutto ricade su di me. Ma la colpa è mia, ogni sera mi dico che domani li farò accompagnare a scuola a lui, che la lista della spesa la darò a lui, che gli chiederò di portarli allo sport, di andarli a prendere a scuola e di pagare la bolletta alla posta. Ma poi non lo faccio mai. È che noi donne e mamme non sappiamo delegare e o mi incazzo. Ecco, non sono depressa, sono proprio incazzata nera. È diverso, parecchio.
Chiunque voglia raccontare la sua storia può farlo scrivendo a [email protected]. Grazie.