Ho accettato con spirito di pietas di non aver capito nulla della vicenda IOR, ma non mi rassegno a non aver capito nulla di quello che è successo in Generali. E per giunta, l’ago della bilancia sono stati i consiglieri indipendenti della lista Assogestioni: con quali ragioni, e a favore di chi?
Confesso di essere da sempre più appassionato di numeri che non delle soap opera dei “salotti buoni”, ed ho inaugurato questo blog parlando dei “salotti buoni” come della finanza del secolo scorso, ma quello che è successo in Generali è un caso di mancanza di trasparenza che non può passare sotto silenzio.
Le motivazioni che emergono dalle dichiarazioni riportate sulla stampa propongono temi che sono tra la gag comica e il film dell’orrore. Le battute comiche: i soci erano insoddisfatti dell’andamento in borsa del titolo. Ma davvero? In questo periodo di vacche grasse, c’è un titolo in Borsa che va male? Ha fatto peggio del mercato? Ha fatto peggio del suo settore? Ha fatto peggio dei suoi competitor? E Mediobanca è andata bene? Non sono domande retoriche, semplicemente non sono emerse dal dibattito. E uno si chiede: ma se io fossi un amministratore che vuole sconfessare il CEO di Generali sulla base del fatto che il titolo in borsa non è andato bene, non presenterei un grafico dell’andamento di borsa del titolo depurato dal mercato? Non direi a tutti gli organi di stampa: il titolo ha fatto x% peggio dell’indice di borsa? Invece niente: l’unico documento è la lettera del CEO, che peraltro leggo solo grazie al link nel pezzo dell’amico Vanuzzo. E la lettera evoca un film dell’orrore: parla del conflitto di interessi di Mediobanca nella vicenda di salvataggio di Fonsai e della costruzione della principale concorrente di Generali: Fonsai-Unipol
Ma non c’è bisogno di insistere su questi aspetti, che sono sotto gli occhi di tutti, speriamo anche della CONSOB e dell’Antitrust, come si augura Mucchetti sul Corriere della Sera. Quello che invece deve essere sottolineato è il ruolo svolto dagli amministratori indipendenti eletti nella lista Assogestioni. I loro voti erano stati annunciati come decisivi, e decisivi si sono rivelati. La cosa ha ingenerato l’aspettativa, almeno nel sottoscritto, che grazie ai consiglieri indipendenti ne avremmo saputo di più. Mi sono messo nei loro panni, e ho tratto una conclusione razionale: avrei potuto prendere una decisione (e in particolare una decisione di rottura) senza vedere una giustificazione materiale, scritta e motivata, della decisione proposta? E non avrei dovuto riportare in maniera chiara alla stampa perché questa motivazione mi aveva convinto? E, soprattutto, non avrei dovuto asserire che queste ragioni sono più forti e cogenti dei conflitti di interesse, che pure esistono, e che dovranno essere affrontati? Al momento, non c’è traccia di niente di tutto ciò. Sui giornali si riporta di riunioni in Assogestioni, di pressioni, e si riporta addirittura, sul Corriere, di un consigliere indipendente che avrebbe “sollevato critiche sulla lettera di Perissinotto”. Ma come? Il CEO ti mette per iscritto che viene allontanato per un conflitto di interessi di un azionista e “non per motivi di business”, e tu non richiedi agli estensori della mozione di sfiducia, e soprattutto non richiedi di rendere pubblici, quali siano “i motivi di business”?
In conclusione: il salotto buono esiste ancora, anche se gli eredi di Cuccia e Maranghi sono molto più sgraziati e fanno molto più baccano. In questo modo hanno acceso i riflettori sul loro operato. La novità è che ora i riflettori sono accesi anche su Assogestioni. Dai loro consiglieri il mercato si aspetta trasparenza e spiegazioni di dettaglio. E spiegazioni di dettaglio non significa discorsi, significa numeri.