Capitalismo e salameOggi è il compleanno di Adam Smith e di Keynes, due libri in regalo per festeggiare

Anche la rigorosa, matematica ed efficiente Economia vive di simpatiche coincidenze. Oggi l’Economia festeggia due compleanni speciali, quello di Adam Smith e quello di John Maynard Keynes. Adam Sm...

Anche la rigorosa, matematica ed efficiente Economia vive di simpatiche coincidenze. Oggi l’Economia festeggia due compleanni speciali, quello di Adam Smith e quello di John Maynard Keynes. Adam Smith, che avrebbe oggi compiuto 289 anni, è ritenuto il fondatore del pensiero liberale iniziato con la pubblicazione della Ricchezza delle nazioni (1717) e ancora vivo e attivo per mezzo della scuola di Chicago. Keynes, 129 anni, è ritenuto l’economista che più si è distaccato dal pensiero liberale creando una corrente di “pensiero alternativa” come dimostravano gli accessi dibattiti con Von Hayek (padre della scuola austriaca, che ha molto influenzato nel tardo Novecento la scuola di Chicago).

Adam Smith nasce a Glasgow il 5 giugno 1723. Professore di logica, Smith può essere considerato il filosofo che pose le basi per lo sviluppo della moderna teoria economica. La teoria smithiana, evolutasi poi in quella liberale, è raccolta nell’opera pilastro per le scienze economiche sociali: La ricchezza delle nazioni. È in questa opera che si colloca il liberismo smithiano che è rappresentato attraverso il concetto di mano invisibile: ogni operatore economico agisce nel mercato mosso unicamente dal suo interesse personale; ma l’influenza di domanda e offerta sui prezzi (e di questi sulle decisioni degli operatori) agisce come una “mano invisibile” che genera un continuo equilibrio e adeguamento tra produzione e domanda. Il pensiero di Smith ha influenzato molte delle scuole di pensiero economico contemporanee: da quella austriaca a quella di Chicago.

John Maynard Keynes, nasce Cambridge il 5 giugno del 1883. Professore di economia all’Università di Cambridge, ha avuto un’intensa carriera accademica-politica. Furono i grandi eventi del Novecento che crearono il pensiero economico keynesiano: la prima guerra mondiale (ne scrisse in Le conseguenze economiche della pace), la grande crisi del 1929 e infine la seconda guerra mondiale. Durante gli accordi di Bretton Woods del 1944 le grandi potenze si trovarono di fronte a una decisione difficile per ristabilire l’ordine (economico) nel dopo guerra. Da una parte il piano economico americano che si fondava su una fiat money e sull’instaurazione di un debito infinito, dall’altra parte il piano di Keynes (ministro delle Finanze inglese) che prevedeva la creazione di una camera di compensazione (clearing union) caratterizzata da un equilibrio tra debiti e crediti. Ovviamente vinse il piano americano, fatto firmare a tutti i delegati in fretta e furia, senza la possibilità di discussioni.

Con molto confusione, i due autori, o meglio le due scuole di pensiero (liberale e keynesiana), vengono presentate come antipodi. Uno dei dibatti più accessi, per esempio riguarda l’intervento dello Stato. Nel novecento entrambi i modelli economici vennero applicati all’economia reale: i modelli keynesiani furono seguiti nei primi anni Trenta (dopo la grande crisi del ’29) dal presidente americano Roosvelt attraverso il New deal, mentre i precetti liberali furono applicati prima in Inghilterra dalla lady di ferro Margaret Thatcher e poi in America dal presidente Reagan (che il 5 giugno, del 2004, è morto) attraverso, per esempio, la prima ondata di privatizzazioni. Nel breve periodo entrambi i modelli aiutarono la ripresa e stimolarono la crescita: entrambe le teorie risultarono efficienti. È importante notare come nelle fasi (cicliche) di decrescita economica, le idee keynesiane tornano sempre a bussare. Nixon nel 1971 (anno delicato per il dollaro americano) affermò: «Siamo tutti keynesiani»

Ovviamente i due economisti non sono agli antipodi. L’influenza e lo studio di Smith, e degli autori classici in generale, era sempre presente nella preparazione di Keynes. Fu proprio lo studio delle teorie classiche che fecero sorgere dei seri dubbi allo stesso Keynes portandolo alla stesura di un piccolo saggio intitolato: Am I Liberal (sono un liberale?) (1925). Nella prefazione della Teoria Generale (edizione Utet) il professor Giuseppe Berta precisa come «il radicalismo di Keynes è lontano dallo sconfinare in un socialismo alla vecchia maniera». Keynes, può essere ritenuto un liberale per esclusione perché da un lato estraneo e critico verso il marxismo e perchè dall’altro lato non si è mai riconosciuto nella classe dirigente che costituiva il partito laburista.

Dopo la pace di Versailles che impose le costose riparazioni di guerra alla Germania, Keynes dichiara la fine del modello del laissez-faire e quindi della libertà del mercato attraverso la pubblicazione di: La fine del laissez faire (1926). In questo breve saggio Keynes descrive i principi di questo modello economico (il soddisfacimento dell’interesse individuale porta al bene comune), attraverso la metafora delle giraffe e delle foglie. Seguendo i principi della mano invisibile sarà giusto che le giraffe dal collo più corto muoiano di fame perché non in grado di cogliere le foglie sui rami più alti. Però Keynes puntualizza: «…Se abbiamo a cuore il benessere delle giraffe non dobbiamo trascurare la sofferenza delle giraffe dal collo corto che sono affamate, né le dolci foglie che nella lotta cadono a terra e vengono calpestate, né la supernutrizione  delle giraffe dal collo lungo».

A livello di modelli economici alcuni autori riconosco una forte influenza smithiana sul pensiero keynesiano. Nel libro Il futuro del liberalismo Alan Wolfe, professore al Boston college, sostiene che l’economia keynesiana sia in grado di rappresentare le idee classiche del liberalismo: «Se Adam Smith, rappresenta la quinta essenza dell’economia liberale classica, Keynes, le cui idee erano concentrate all’intervento statale e di politiche anti cicliche per evitare gli alti e bassi (ciclici) dell’economia, rappresenta al meglio la versione moderna dell’economia liberale classica».

Il dibattito tra liberismo e pensiero keynesiano è ancora molto forte. Lo dimostrano sia gli accesi dibattiti su questo blog sia gli interventi statali in aiuto alle banche private (attraverso iniezioni di liquidità) a causa della crisi finanziaria che hanno caratterizzato le politiche economiche degli ultimi anni. Già nei primi del Novecento, Keynes, da buon investitore ed economista, si era ben accorto delle conseguenza della Finanza, come la possibile mancanza di denaro all’interno del mercato (credit crunch): «La finanza non è questione di soldi. I soldi possono mancare a un singolo soggetto. E allora la questione è quella di farseli prestare. Ma i soldi non possono mancare a una comunità nel suo complesso. Per una comunità il problema finanziario è quello di far incontrare i bisogni insoddisfatti con le risorse disponibili, i progetti per il futuro con le ricchezze ereditate dal passato. In definitiva, gli investimenti con i risparmi».

Gli interventi statali per aiutare dei soggetti privati che rappresentano il mezzo con cui si attua il pensiero liberale di free market (le banche) possono essere ritenuti di matrice liberale (dove lo Stato non deve mai intervenire seguendo il motto del laissez faire, del lascia fare), o di matrice keynesiana dove lo Stato ha un ruolo importante anche nel sostegno di politiche sociali?

Capitalismo e Salame non risponde perchè preferisce ricevere i vostri pareri, però vi regala due scritti di questi due grandi autori, per approfondirli: La teoria dei sentimenti morali (1759), Adam Smith e La conseguenze economiche della pace (1919) di Keynes.

Buon complanno Adam, buon compleanno John.

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