Il BureauOlanda, i più Bravi, i più Belli, i più Giusti

di Luca Riposati Ora vi voglio dire: c'è chi gioca per rubare e c'è chi gioca per stupire i tedeschi giocano sempre per vincere, gli olandesi giocano per essere i migliori. Un'utopia finisce semp...

di Luca Riposati

Ora vi voglio dire: c’è chi gioca per rubare
e c’è chi gioca per stupire
i tedeschi giocano sempre
per vincere,
gli olandesi giocano per essere i migliori.

Un’utopia finisce sempre per pigliare schiaffi da un sogno.

L’antropologia è la scienza che aiuta a individuare, in ogni gruppo umano, gli individui un po’ stronzi. Chi scrive fa parte di quella categoria. Calcisticamente parlando, anche. E così per tutto il tempo tra una competizione internazionale e un’altra, ci si dà un tono tessendo le lodi della nazionale olandese, del suo calcio, della sua visione, delle sue rivoluzioni estetiche. Si passa il tempo a raffinare già complesse teorie per spiegare a chi di calcio non vuol sentire parlare – e agli appassionati normali – perché non solo l’Olanda deve essere tifata, ma perché vincerà, e che soprattutto, se vincerà, perché sarà intrinsecamente giusto che accada. Il tutto con il piglio di aristocratici illuministi, filantropi ma scostanti, che dopo la parca mensa, istruiscono il popolo minuto e i bottegai nelle loro anguste dimore. E a metà giugno – quando va bene a metà luglio – ci si ritrova a masticare amaro al Club dei Gentiluomini Straordinari, a maledire il nome di tedeschi, spagnuoli, portoghesi, insomma di qualcuno che ha battuto ed eliminato l’Olanda. Ogni volta vigliacchi, infami, retrogradi, burini, bari, canaglie, colpevoli di aver sconfitto I Più Bravi, I Più Belli, I Più Giusti. Colpevoli, insomma, di aver fatto restare un’utopia quel che é.

Nel frattempo, sul campo, la Danimarca applica una tecnica ineffabile. I centrocampisti avanzano sulla mediana, per poi scagliare con forza la palla contro le teste dei loro attaccanti. Dal bizzarro rimbalzo, fanno scaturire il prosieguo della manovra offensiva – cancellando un secolo di meccanica quantistica – e cinquanta di calcio totale – per ritornare alla più rassicurante fisica degli urti.

Nel frattempo, la Danimarca segna. Un deja vu enorme, estate del 1992. Gli Europei in Svezia.

Vent’anni fa l’Europa era molto giovane, iI colore brillante delle maglie dimostrava in maniera lampante l’esistenza di Diadora, della Lotto che progetta la scarpe e imbastisce le tute. Io, unico figlio castano quasi come Laudrup, avevo pochi anni e dieci anni sembran pochi, poi ti volti a guardarli e non li trovi più. E mi ricordo infatti di un pomeriggio triste, io, col mio amico ‘Pallone di gomma’, famoso Supertele, sul ciglio di una strada a contemplare l’Europa, diminuzione degli jugoslavi, aumento dell’ottimismo.

Nel frattempo la Danimarca tiene il vantaggio. A quel tempo io ero un bambino che giocava col trenino, non fischiava alle donne. Credulone e romantico, con due pistole da grande. Se avessi potuto scegliere fra l’Italia e l’Inter, fra la Juve e il Milan, avrei scelto l’Olanda.

Nel frattempo, come vent’anni fa esatti, la Danimarca vince. Tra Danimarca e Olanda la differenza salta agli occhi: la Danimarca ha la strada segnata, l’Olanda può passare il turno ma poi cadere.

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