Spesso i media danno risalto a cronache pruriginose o gossip.
Spesso parlano di quello che noi vorremmo ascoltare e questa non è una novità.
Anche noi stessi tendiamo sempre ad interessarci di cose che in qualche modo ci toccano da vicino o in cui siamo più o meno coinvolti.
A volte non ci accorgiamo di come mondi paralleli (e relative storie) siano così vicini a noi.
Ad esempio al mare, la maggior parte di noi pensa all’abbronzatura, alla passeggiata, alla partita a racchettoni. Ed è giusto che sia così.
Ma io personalmente non riesco ad essere sempre indifferente davanti a tutti questi ragazzi che tentano di vendermi qualcosa ogni 5 minuti.
Basta essere cordiali e sono pronti a raccontarsi, anzi ne hanno voglia. E questo dimostra la scarsità di attenzione da parte del prossimo che li circonda.
Oggi Mizar mi ha raccontato la sua storia con umiltà ed orgoglio.
Mizar ha 30 anni e viene dal Bangladesh, dove ha lasciato una moglie ed un figlio di un anno.
Mizar ha scelto l’Italia per emigrare dopo aver lavorato in Arabia Saudita e a Dubai.
Ha vissuto a Bologna lavorando come addetto alla sicurezza di un supermercato e poi a Roma, come operatore delle pulizie di un grande albergo.
Ora sta facendo una stagione al mare come venditore ambulante: paga 500 euro d’affitto per un posto letto in una stanza tripla.
A fine estate spera di riuscire a guadagnare almeno 2000 euro.
Verso settembre tornerò a far visita alla sua famiglia in Bangladesh.
Sospirando mi ha spiegato come sia impossibile al momento far trasferire sua moglie ed il suo bambino in Italia con lui: ci vorrebbe una busta paga e un contratto regolare di lavoro per poter effettuare il ricongiungimento familiare.
Raccontandomi tutto ciò, Mizar non ha mai smesso di sorridere. L’Italia per lui è un paese libero, accogliente, a “good country”.
E lo dice nonostante debba lavorare in nero, nonostante sia sottopagato e nonostante adesso stia facendo un mestiere usurante.
Mizar mi ha salutato e poi ha proseguito.
Occorre poco tempo e poco dispendio di energie per ascoltare queste storie.
Il nostro paese non offre di più a questi ragazzi ma loro sanno trovarci del buono lo stesso.
Alcuni hanno studiato, parlano tante lingue e nel loro paese erano tutt’altro che venditori di bigiotteria in spiaggia. La fame e la miseria li spingono a emigrare in paesi che poi non sono le mecche sperate.
Con rabbia penso al mercato della contraffazione che c’è dietro alle cose che vendono. Nessuno si preoccupa minimamente di fermare alla fonte questo commercio illegale.
Le autorità si limitano, ogni tanto, a farli sgomberare, sequestrandogli la merce. Qualcuno mai si pone il problema che sono l’ultimo anello ( e per giunta debole) di una catena lunghissima fatta di illegalità, contrabbando e sfruttamento?
È sufficiente osservare la spartizione della tipologia di merce, fatta per nazionalità dei venditori, per comprendere quanto sia strutturato e radicato questo sistema.
E le istituzioni lasciano che tutto ciò avvenga alla luce del sole, anzi sotto il solleone di mezzogiorno.
Nel nostro piccolo però possiamo contribuire a rendere migliore la vita dei migranti, anche semplicemente ascoltandoli sotto il sole, che comunque ci abbronzerà lo stesso.
E voi avete mai provato ad ascoltare le loro storie?