Nel settecento d.C il fisico Pierre Simon Laplace regalò il suo scritto Exposition du système du monde a Napoleone.
Quando l’imperatore finì di leggere il testo disse: « Cittadino, ho letto il vostro libro e non capisco come mai non abbiate lasciato spazio all’azione del Creatore »
Il matematico rispose seccato : « Cittadino Primo Console, non ho avuto bisogno di questa ipotesi ».
Il quadro generale che si prospetta per l’Europa ci suggerisce qualcosa di simile.
I meccanismi che vanno prendendo piedi nel vecchio continente ci rivelano che, paradigmi secolari come la religione, i partiti, l’economicismo, sono visti con scetticismo dalle nuove generazioni. E’ possibili delineare un futuro senza queste ipotesi?
Analizziamo i dati punto per punto.
La religione ha un forte potere associativo. Supplisce a tutte le necessità di aggregazione rafforzandone i legami con direzioni comuni. Già Togliatti( nonostante Croce e Gentile), nella ricostituente, insistette nel dare spazio alla Chiesa, comune denominatore di un paese diviso da un conflitto mondiale.
Le religioni necessitano di un conformismo diffuso per autodeterminarsi. Ma se questi fattori sociali vengono meno e l’implicita necessità di aggregazione sostituita, le varie confessioni entrano in crisi.
Tutte le statistiche ci informano che il vecchio continente, nonostante la sua storia sia spalleggiata dal clero,subisce un radicale cambiamento di paradigma.
Ciò non avviene nelle generazioni più anziane, le quali tendono a conservare le tradizioni e gli insegnamenti del passato, ma soprattuto in quelle più giovani. In Europa, a differenza dei continenti al di là della Atlantico( le Americhe), si registra un ateismo diffuso che cresce anno dopo anno. Secondo uno studio paesi come l’ Australia, Austria, Canada, Repubblica Ceca, Finlandia, Irlanda, Olanda, Nuova Zelanda e Svizzera sono candidati “all’ estinzione” religiosa. Ben sette paesi su nove sono europei. In un sondaggio fatto nel 2011 in Gran Bretagna, un terzo degli inglesi si dichiarava «non religioso». Anche in Italia ci sono dati importanti. Per esempio, l’ateismo si diffonde molto più rapidamente nei paesi settentrionali a differenza di quelli meridionali, molto più conservatori. Questa differenza tra Nord e Sud è riscontrabile pure nell’intero continente.
Anche nei temi sensibili ci sono riscontri importanti. Mentre negli Stati Uniti il dibattito sull’eutanasia o sui divorzi brevi, trova forti resistenze anche nell’opinione pubblica, in Europa la stragrande maggioranza è favorevole alla libertà di divorzio, alla autonomia decisionale sul fine vita. Un referendum su questi temi troverebbe una maggioranza schiacciante persino in Italia. Ovviamente sono tutti dati statistici che rivelano un tendenza diffusa, non un fatto imprescindibile.
Non se la cavano meglio la partitocrazia e il nazionalismo.
I recenti sviluppi della crisi ci hanno mostrato come i cittadini tendono a sospettare delle vecchie logiche partitocratiche. Il primo segnale più evidente ci viene dal dato dell’astensione. Molti cittadini europei hanno perso la fiducia nella politica, o non si sentono rappresentati da quella attuale. L’altro dato degno di nota è l’aggregazione spontanea di movimenti civili e sociali. Gli indignati in Spagna, i Pirati e i Verdi in Germania, i Cinque Stelle in Italia, sono tutti dati importanti. Sanciscono la fine della democrazia rappresentativa a vantaggio di quella partecipativa. Parlano di strutture amministrative più leggere, temi ambientali, tecnologie sostenibili. Sono molto meno interessate al conflitto di classe, al mercato, alla partitocrazia; temi cruciali dello scorso secolo. I partiti più estremi che hanno riscosso un notevole successo nell’elezioni di Francia e Grecia hanno un elettorato nostalgico e tendenzialmente vecchio. Ciò non vuol dire che non possa intaccare le nuove generazioni, ma le statistiche ci dicono che in Grecia, nonostante la crisi e le sollecitazioni di Alba dorata, più del 60% dei cittadini vuole rimanere in Europa. I nuovi elettori non seguono più schemi rigidi imposti dall’appartenenza a un partito, ma valutano caso per caso le contingenze. Richiedono a gran voce un ruolo all’interno dell’amministrazione della cosa pubblica. Il fatto che vengano etichettati come “antipolitica” è un esorcismo mal riuscito da parte di una classe dirigente pronta al crollo.
Economicismo; parola complicata.
Però anche qui possiamo fare appello agli studi. Quando si chiede a un ragazzo laureato del ventunesimo secolo “cosa vuoi fare da grande?” le risposte delineano i nuovi assetti sociale ( e probabilmente economici) del futuro. Sono poco attratti dai lavori “classici”. Pochissimi rispondo di voler lavorare per un banca, o nelle amministrazione pubbliche. Sono molto più inclini al secolo che li caratterizza. Vogliono entrare a far parte del mondo dei Social Network ( Facebook, Twitter, ecc.), sognano di programmare applicazioni di successo, creare colossi come Amazon o Apple, produrre autonomamente videogiochi. Se pensiamo che l’Unione Europea, nonostante la crisi, fatichi a trovare del personale amministrativo con buone competenze, perché risulta poco attrattiva, ci rendiamo conto del quadro generale. Anche nell’editoria qualcosa si muove. Con gli E-book e la rete, il mercato sta cambiando. Molti scrittori provano il salto nel buio gettandosi nell’editoria “fai da te”, bypassando i vecchi gruppi. Questa sancirà la morte dell’editoria? I requisiti ci sono tutti.
Questi elementi ci spingono a porci nuove domande: Come sarà l’Europa futura? Sono istanze reali o mode passeggere?
Un dato rilevante si può trarre già da adesso: la gente inizia a percepire che qualcosa sta cambiando, e che per la prima volta nella storia, ci sono dei mezzi che possono fare la differenza. Sono nate delle domande nuove, e non si può rispondere a esse con logiche novecentesche. Non bisogna evocare i valori di una volta, ma crearne di nuovi. Qui nasce la crisi dei valori.