La prima volta che ho lasciato i bambini da soli erano passati quasi due mesi dal loro arrivo, dovevo andare a un pranzo di lavoro e non potevo sottrarmi. Da soli ovviamente per modo di dire: erano a casa con il papà, la tata e pure una nonna, ed eravamo in pieno giorno. “Facciamo quest’esperimento”, mi sono detta prima di uscire. Ricordo ancora gli strilli di Sofia sulla porta, il suo volto corrucciato e le sue parole, mezzo in russo e mezzo in italiano: “Perché te ne vai?”. Uno strazio. Allo stesso tempo sarei insincera se non ricordassi anche un certo senso di sollievo: il traffico, le persone in giro, il mondo che continuava a girare indifferente alla mia personale rivoluzione. Una meraviglia.
Quel pranzo non passerà alla storia come brillante performance professionale della sottoscritta: annuivo di tanto in tanto mentre mi ingozzavo come un lupo, accettando qualsiasi cosa mi venisse offerta, primo, secondo, contorno, dolce, caffè e ammazzacaffè. Mi sembrava un secolo dall’ultima volta che facevo un pasto dall’inizio alla fine restando seduta. Non ascoltavo neanche quello che si diceva: mi rimpinzavo e pensavo “Che faranno ora i bambini?”.
Poi c’è stata la fase 2, quella in cui li addormentavamo e scappavamo di casa sperando che non si svegliassero con la sola baby sitter, ancorché collaudata. Mi è capitato di lasciare le scarpe e la borsa fuori dalla porta per non fare il più piccolo rumore in uscita, e tornare strisciando rasente i muri. Il problema della fase 2 era che provocava uno stress pazzesco. Per far in modo che non si svegliassero nella notte per venirci a trovare nel lettone li sottoponevamo a un’ora aggiuntiva di parco, corredata di corse sfrenate finalizzate a fiaccarli. Il problema era che ci fiaccavamo anche noi, tanto che una volta fuori di casa, appena chiusa la portiera della macchina, mio marito ha esclamato: “Ma dove andiamo a quest’ora di notte?”. E non erano neanche le nove di sera.
Gli esperti di temi adottivi concordano sul fatto che i nostri figli, nelle fasi iniziali, hanno paura di essere abbandonati nuovamente, e che quindi è bene trascorrere più tempo possibile con loro, ripetendo sempre le stesse cose per far sì che si trasformino in abitudini. L’eccesso di stimoli, in questo senso, puó essere controproducente, ragion per cui abbiamo evitato con cura strapazzi serali con loro. Quando amici con figli ci proponevano “perché stasera non andiamo a mangiare una pizza con tutti i bambini?” sorridevo e scuotevo la testa come chi è serenamente vincolato a un precetto religioso. La realtà è che le serate fuori con i bambini sono un incubo, che siano adottati cambia poco.
Un mese fa abbiamo deciso di imprimere una svolta alla nostra social life: basta con le fughe di mezzanotte, proviamo a spiegare loro che se una volta a settimana papà e mamma escono per andare al cinema – posto che ne abbiano le forze – non succede niente, nessuno li abbandona, la sera torniamo a dormire a casa e non c’è motivo per avere paura. Finita la spiegazione, ecco le reazioni. Sofia: “Che bello, andiamo a dormire per conto nostro”. Anna: “Sì, ma state attenti, fuori è buio”. Infine Vladi, alzando la testa dal piatto: “Ciao papà, ciao mamma”.
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