Matthew Calarco insegna filosofia continentale e filosofia ambientale presso la California State University (Fullerton). Autore di Zoografie (Mimesis, 2012) ha curato, in collaborazione con Peter Atterton e Maurice Friedman, Lévinas and Buber: Dialogue and Difference (Pittsburgh 2004) e Radicalizing Lévinas (Albany 2010).
Leonardo: Oltre ad essere un filosofo della questione animale, ti definiresti anche un attivista? Sei diventato vegano? E pensi che diventare vegani sia importante, nonostante, ne sono cosciente, tutti i limiti e problemi del caso?
Matthew: Sono stato coinvolto nell’attivismo animalista di vario genere, e in vari livelli, per molti anni. E sì, il veganismo è a mio parere un aspetto importante ed essenziale per respingere ancora una volta l’ordine antropocentrico prestabilito. Il veganismo, tuttavia, non è per me un tentativo di essere puri – volto a fare in modo che non si consumino animali o prodotti di origine animale o, ancora, che gli animali siano esenti da alcun danno. Dato il mondo in cui viviamo (che è profondamente violento verso gli animali ad ogni livello immaginabile), e data la logica più generale dei consumi (che è intrinsecamente violenta), il veganismo puro è impossibile da raggiungere, e so che, nonostante tutti i miei sforzi (io sono un vegano rigoroso) continuo indirettamente a consumare animali e a causare loro del male in innumerevoli modi. Ma questo non significa che possiamo mangiare qualsiasi cosa, perché la società limita il veganismo. Anzi, proprio per questo, la domanda diventa: come posso io, o meglio, come si può vivere e consumare più rispettosamente possibile (ed essere consumato, perché il consumo avviene anche per i “consumatori”!)? Il veganismo, dunque, è il nome che diamo a quella pratica di mangiare eticamente che viene intrapresa in favore degli animali, entro un loro riconoscimento come soggetti.
Per me, il veganismo è uno dei modi di mettere in pratica il concetto di indistinzione. Gli animali e gli esseri umani sono completamente, e profondamente, indistinti nel fatto che siamo, tutti noi, potenzialmente carne. Questa è una delle lezioni più importanti di artisti come Francis Bacon (un punto che è ben analizzato da Deleuze nella sua lettura di Bacon), di teoriche del femminismo come la Val Plumwood (si veda il suo Being Prey), così come di molti popoli indigeni le cui tradizioni hanno influenzato il mio lavoro. Al contrario di alcuni studiosi di etica animale che vedono gli animali e gli esseri umani come fondamentalmente non commestibili, e che costruiscono il loro veganismo su una specie di divieto assoluto del consumo, io credo invece in una condivisione, tra animali e uomini, di una zona indistinta, una “zona carnosa”, in cui tutti sono potenzialmente carne (intesa come cibo) e che dà luogo ad un altro tipo di veganismo. I vegani di questo tipo, fra i quali mi sentirei di annoverarmi, evitano di mangiare carne, per quanto possibile, non perché gli animali non dovrebbero essere considerati come carne. Gli animali sono potenzialmente carne (e pure noi!), e possono essere mangiati, si mangiano, e saranno mangiati. Ma ciò che sappiamo, noi “compagni carnosi”, in quanto “esseri incarnati” che praticano questo tipo di veganismo, è che i corpi degli animali possono essere molto di più della carne “semplice”.
I moderni allevamenti intensivi di animali, e le industrie carnee, cercano di ridurre gli animali a carne “semplice” (uso le virgolette perché non c’è nulla di “semplice”, a mio avviso, nell’essere trasformati in questo tipo di carne), per farci credere che i loro corpi hanno come unico scopo quello di finire trasformati in manzo, prosciutto, e vari sottoprodotti che arrivano sui nostri piatti, o coprono i nostri corpi. Quindi, sì, gli animali sono potenzialmente carne da mangiare, ma sono potenzialmente più di quello. Il veganismo è un tentativo di liberare gli animali evidenziando queste potenzialità aggiuntive, queste altre possibilità. Si tratta di un tentativo di liberarli da un mondo e da un ordine stabilito che ha impedito agli animali di costituirsi i propri mondi, le loro relazioni, il loro divenire soggetti, con gioie e passioni. Come tale, il veganismo di questo genere, non è un odio o un disgusto per la carne, ma una identificazione profonda con e per i corpi carnosi e la loro vasta gamma di potenzialità. Inoltre, il veganismo di questo tipo, è anche un tentativo di liberare noi stessi verso altre possibilità, potenzialità, e passioni. Chissà cosa possiamo diventare quando proviamo a mangiare pensando a questi aspetti, con più rispetto? Chissà cosa possiamo diventare quando ripensiamo chi siamo e chi sono gli animali?
Vorrei anche sottolineare che è per questo che il veganismo non può essere limitato a una presa di posizione etica individuale se vuole essere seriamente perseguito. Lo stato di cose che mira a ridurre gli animali a carne “semplice” è straordinariamente potente ed è costituito da una serie di sistemi economici, giuridici, ontologici e, le istituzioni, lo sappiamo, non possono essere cambiate (ma neanche seriamente riformate) attraverso un veganismo individuale o collettivo.
Il veganismo come pratica che qui ho delineato deve andare ben oltre un cambiamento delle abitudini alimentari e deve estendersi a una riflessione e ad una trasformazione radicale di tutto: dal trasporto (si pensi alla morte di massa, e alla sofferenza associata ad autostrade, ferrovie, ecc.), all’utilizzo di energia (ogni fase del processo di estrazione, lavorazione, e uso di combustibili fossili ma anche di “energie rinnovabili” è danno assoluto alla vita animale, per non parlare della sofferenza causata attraverso i cambiamenti climatici), all’architettura (le nostre città, paesi e infrastrutture generali, sono costruiti con molto poca o nessuna considerazione del benessere animale) ai rifiuti, al nostro uso collettivo di acqua, suolo, aria, e altri aspetti del mondo materiale che compongono gli ambienti degli animali. È enormemente difficile pensare attraverso i problemi degli animali, al loro posto, in questo attuale stato di cose, ma ci sono numerose possibilità promettenti anche grazie alla formazione di importanti legami con altri movimenti per il cambiamento radicale (tra cui, naturalmente, tutti i gruppi che ho citato sopra, che cercano di costruire un mondo in cui molti mondi sono possibili per tutti i tipi di esseri).
La scommessa che guida il mio lavoro filosofico è che la trasformazione reale dello stato di cose avverrà, e avverrà per tutti, attraverso questo tipo di alleanze e sodalizi.
[Quanto pubblicato è un estratto di un’intervista che Matthew Calarco, professore di filosofia alla California State University, Fullerton, mi ha rilasciato per Linkiesta e per la rivista di filosofia Asinus Novus, su cui è pubblicata una versione più ampia di cui consiglio la lettura per meglio comprendere quanto viene detto dal filosofo. L’intervista, originale in inglese, è stata tradotta dal sottoscritto in italiano]