fonte nationalgeographic.it
“L’astronautica ci ha fatto tornare tutti bambini”. Lo scriveva Ray Bradbury nelle Cronache marziane ed erano gli anni ’60. Ma lo spazio non è fatto per giocare. Ricorre proprio oggi l’anniversario di una delle ventotto missioni dello Space Shuttle (in dettaglio sarebbe il Quinto Spacelab, un laboratorio per lo studio della microgravità in orbita terrestre), che operò nel cosmo tra il 12 aprile del 1981 e il primo febbraio del 2003, data in cui l’astronave si disintegrò durante la missione di rientro. Persero la vita tutti e sette gli astronauti.
Da piccolo volevo fare l’astronauta, come tanti di voi suppongo. Poi crescendo il sogno dello spazio resta una specie di cantuccio, seppure vivo e incrollabile che solitamente viene coltivato con gusto nell’avventura da camera, ovvero nelle letture amene della space opera (tanto per intenderci quella generazione della fantascienza hard come Hamilton, Campbell, Brackett, Williamson, Burroughs, ma anche la successiva di Asimov, Blish e poi crescendo Herbert e gli “antigenere” come Douglas Adams).
Per quanto mi riguarda questa gloriosa fase venne irrimediabilmente colpita – e fu una specie di rito passaggio all’età adulta – nel 2003 quando lo Space Shuttle si disintegrò nei cieli del Texas, lo Stato dove esercitava gli affari la famiglia del presidente George W. Bush il quale, proprio in quell’occasione, ebbe a dichiarare che conquista dello spazio avrebbe avuto comunque un seguito. Non l’ebbe, invece, per me, che da quel giorno fui travolto da una serie di problematiche insolute sul senso della morte di quella gente che, sostanzialmente, veniva dallo spazio.
Il cosmo si era completamente denudato, ma non mi mostrava più lussureggianti spettacoli celesti, bensì era diventato un mondo oscuro e malvagio con regole ferree e letali per il piccolo uomo. Da questo punto di vista mi era sembrato di passare dal paese dei balocchi agli spazi abissali e malati di Lovecraft, dove divinità oscure e imperscrutabili giocano con l’uomo e il suo destino.
“Il sogno è l’infinita ombra del vero”. (Giovanni Pascoli)
Rosario Battiato