Oltre a Parigi (di cui ho parlato nel precendente post), altri esempi di politiche cittadine che integrano luoghi di produzione artistica indipendente nel tessuto culturale ed economico vengono da Berlino. Nonostante il grande sviluppo urbanistico seguito alla Caduta del Muro, il paesaggio della città rimane disseminato da una grande quantità di spazi vuoti e aree interstiziali in stato di degrado. Siti in disuso che possono venire concessi temporaneamente o ad interim a vari attori urbani, attivisti o artisti, associazioni o imprenditori culturali.
Questo tipo di utilizzo degli spazi si innesta nelle politiche economiche e urbane e nelle narrazioni orientate alla promozione di Berlino come “città creativa”. Narrazioni riprese e diffuse dai media negli ultimi dieci anni.
Nel 2001, come a Parigi anche a Berlino si insedia al governo della città una coalizione di sinistra. Guidata dal sindaco Klaus Wowerei (attualmente al terzo mandato), la giunta eredita una città sull’orlo della bancarotta e molto poco spazio di manovra. In comparazione ad altre città tedesche, il tasso di crescita di Berlino è rimasto basso mentre quello della disoccupazione è in crescita. Uno dei pochi settori floridi è quello delle industrie creative. Diversi fattori spiegano la rapida crescita di questo settore a Berlino, in particolare la disponibilità di abitazioni a buon mercato, una preesistente concentrazione di realtà culturali alternative ed una scena musicale e artistica che attrae giovani imprenditori culturali da tutto il mondo.
L’utilizzo temporaneo di immobili in disuso è la conseguenza della necessità di spazi da parte di questa scena di sperimentazione culturale e artistica. Un esempio ne è Skulpturenpark, un progetto culturale e artistico collaborativo pensato da un collettivo di artisti attivisti che dal 2006 dà vita ad attività artistiche e interventi site-specific per la rivitalizzazione del quartiere di Mitte, un’area già lottizzata per costruzioni future.
Anche a Londra, la concessione di spazi temporanei ad artisti è una politica diffusa. L’Arts Council e alcune associazioni di artisti mediano con i proprietari di immobili per concessioni temporanee di spazi in disuso in cambio di lavori di restauro e manutenzione o dietro pagamento di locazione a prezzi molto vantaggiosi. La zona sud di Peckham è quella che negli ultimi anni ha visto il maggior numero di occupazioni (di ogni genere). Zona associata all’alto tasso di criminalità e alle gang giovanili più che all’arte, Peckham è stata negli ultimi anni teatro di una fiorente scena artistica indipendente che si avvale dei molti spazi industriali smessi in prossimità di due importanti scuole d’arte, Goldsmiths School of Arts e Camberwell College. Scena artistica neo-bohème che partecipa alla riqualificazione dell’area attraendo molti artisti emergenti.
Le occupazioni possono sembrare a molti sinonimo di degrado e marginalità, ma le molte realtà di Parigi, Berlino, Londra – e anche di Amsterdam e Melbourne, città che conducono politiche simili – sono lì a testimoniare che la scena dell’arte indipendente, i collettivi, gli attivisti, e i centri sociali possono essere agenti di cambiamento, ricoprendo il ruolo di pionieri nel recupero di aree urbane.
È un approccio, tuttavia, non è privo di criticità. Così come è avvenuto per Berlino, e in misura diversa per Parigi, è necessaria una rivisitazione delle procedure di pianificazione e di concessione.
Ciò perché gli utilizzi temporanei degli immobili non sono normalmente considerati come fase del ciclo di vita dello sviluppo urbano. Comunemente, questi vengono associati a periodi di crisi, di mancanza di visione e pianificazione. Tuttavia, al di là di ogni preconcetto, gli esempi di dinamicità e qualità nomadica di alcune gallerie d’arte, teatri, o luoghi per eventi temporanei dimostrano che la prassi dell’utilizzo temporaneo può diventare un elemento molto proficuo, innovativo e inclusivo nella cultura urbana contemporanea.
In un periodo di restrizioni finanziarie e di devolution, in cui i governi locali dispongono di possibilità di investimento molto limitate, Berlino, in particolare, mostra come l’innovazione culturale sia spesso un fenomeno che accade in città “in crisi”, sofferenti di un processo di deindustrializzazione, crescita lenta o contrazione. Aspetto che riguarda anche diverse città italiane.
Ulteriore criticità viene dalle potenziali situazioni di conflittualità. Integrare l’attenzione ai movimenti alternativi o della controcultura nelle politiche urbane e culturali e nei discorsi del city marketing significa per le autorità locali sostenere, sebbene con cautela, e a volte persino nervosamente, forme di differenziazione e di alterità che possono anche essere in opposizione o antagoniste al proprio esercizio.
Ci sono poi le difficoltà legate al ruolo di mediatore di cui il governo locale si deve far carico, dovendo mediare la richiesta di spazi con la disponibilità a concederne l’utilizzo da parte della proprietà. E ovviamente, anche gli aspetti di sicurezza devono essere considerati attentamente.
Altro problema: molto spesso, anche in presenza di un accordo contrattuale che sancisce la temporaneità dell’occupazione, gli occupanti non intendono andarsene, o richiedono di essere ricollocati altrove, come fosse un loro diritto e compito delle autorità provvedere. I casi recenti di tentativo di sgombero di realtà istituzionalizzate, e ormai luogo di pellegrinaggio turistico, come quelli del quartiere Christiania a Copenhagen o dei collettivi artistici di Les Frigos a Parigi e di Tacheles a Berlino sono lì a dimostrarlo. Inoltre, consapevoli del rischio di perdere la propria controcultura identitaria alla firma di un contratto o di una convezione che implicitamente riconosce i benefici del sostegno culturale e amministrativo delle istituzioni, molti artisti mantengono un approccio antagonista verso la struttura pubblica.
Così, pur ottenendo la disponibilità di utilizzo di spazi offerti, fedeli al principio di mobilità, optano per l’occupazione illecita di altri immobili. É la scelta, per esempio, per la quale ha optato Macao, che pure ricevendo l’apertura al dialogo della giunta Pisapia e l’offerta di spazi alternativi a quelli della Torre Galfa, non ha voluto riconoscere la validità dell’interlocuzione e ha occupato Palazzo Citterio, in zona Brera, come atto dimostrativo dell’indipendenza del movimento.
Si capisce quindi, quali e quante siano le sfide poste dalle pratiche di uso temporaneo. Sono sfide lanciate alle forme convenzionali di pianificazione urbana, ma anche lezioni da apprendere riguardo alle esistenti opportunità di impiego delle risorse e nuove forme possibili di flessibilità che divergono dai processi di sviluppo solitamente proposti dalla pianificazione delle autorità pubbliche o dal mercato.