Indignarsi non costa niente.
Ma più che un prodotto, l’indignazione è una moneta di scambio col valore dei soldi del Monopoli. Tutti l’accettano ed è spendibile in ogni situazione sociale. Mai come oggi ci si può permettere di essere degli spendaccioni. Spendi, spendi, spendi.
L’indignazione parte da un sentire comune, ma è lotta egoistica. Il cambiamento, invece, parte da una prese di coscienza personale e poi diventa lotta comune.
L’indignazione va fatta girare perché muore se vissuta in solitudine. L’indignazione vive per essere condivisa ed è infinita.
L’indignazione è per chi “è stufo”, ma lo era anche prima della crisi economica. L’indignazione ha lo stesso valore della maniera in cui viene esercitata.
Indignarsi è sterile.
L’indignazione non porta da nessuna parte. È una strada dritta e facilmente percorribile, ma senza punto d’arrivo. Senza meta.
L’indignazione è di coloro che stanno fermi a guardare altri cambiare veramente il mondo, nel bene e nel male. Nessun grande cambiamento è nato dall’indignazione.
L’indignazione era della “buona” borghesia bianca del Sud degli Stati Uniti quando, negli anni ’50, gli afroamericani cominciarono a reclamare i propri diritti.
L’indignazione è di chi è seduto, sul divano o davanti al computer. L’indignazione premia a breve termine, ma è fallimentare nell’economia della Storia.
Indignarsi è inutile e un tempo aveva un altro nome. Lamentarsi.