Cassandra ha quarant’anni, lunghi capelli neri e occhi come fanali. Ha un sorriso grande e contagioso, è una donna forte e spigolosa, intelligente e sensibile, di spirito, sempre con la battuta pronta. È molto discreta e di buoni sentimenti, adora gli affetti semplici che costituiscono il suo mondo. ha mille interessi, e una vita piena zeppa di cose. Ama la libertà, prendersi i suoi spazi. Questa è Cassandra, prima e dopo. Ma c’è stato un durante, che è quello che racconta qui.
La prima volta che mi è successo non l’ho riconosciuta. Sai, una di quelle cose che dici “a me non capiterà mai!”. È questo l’errore in cui cadono tutte le donne incinte: non sanno che la depressione post partum colpisce come un terremoto. Qualche avvisaglia durante la gravidanza, scossette, cambi d’umore, sonnolenza o insonnia, preoccupazione e ansia, dolori. “Sei incinta, mica sei malata!”
E poi partorisci. Con le doglie, con l’epidurale, con il cesareo. Niente di bello, di piacevole e di facile. Eppure ti crescono con l’idea che avere un figlio sia la cosa più bella che possa capitare ad una donna. Anzi, la psiche della femmina rimuove il ricordo dei dolori del parto per poter continuare a procreare e a mantenere viva la specie. Se Eva avesse mandato a fanculo Adamo dopo aver partorito Caino con dolore, l’essere umano sarebbe tramontato “senza passare per il via”. Dopo il dolore, la totale assenza di inibizioni con la lavanda, altro dolore con le punture di antibiotico, la sutura che “tira” e poi l’umiliazione della montata lattea che non arriva. E nessuno ti spiega che una primipara può attendere anche diversi giorni la lattazione. Potrai anche non allattare mai se la tua ghiandola decide di non farsi stimolare. Ma tutte le donne che ti passano a tiro ti guardano come l’essere più ignobile di questa terra: “se non lo allatti gli danno l’aggiunta al nido ed è finita! Il latte scende facilmente dal biberon e se si abitua non vorrà mai il tuo latte!”. E allora tu lì a farti venire le ragadi. Ancora dolore.
E poi vengono tutti a casa ad osannare il pupo. “Ben arrivato!” scrivono sui fiocchi di nascita. “Ti abbiamo tanto aspettato e dopo 9 mesi sei arrivato!” sui bigliettini dei fiori (che non puoi tenere neppure nella stanza…. datemeli a soldi che mi vado a fare un paio di birre. Tra l’altro pare che stimolino la produzione di latte!). Tu, per quel che riguarda tutti, potresti essere pure morta. Ora al centro dell’attenzione c’è il bambino e la tua mammella turgida e dolorante, magari ingorgata, lacerata, maltrattata dai getti di acqua calda. A volte viene la febbre. Ma a chi importa? “L’importante è che il bambino stia bene!”. E meno male, altrimenti sarebbe più facile farsi vincere dalla voglia di farsi buttarsi dal terzo piano. Ma magari poi il tuo frugoletto resta orfano e allora non ti butti. Speri solo che stanotte dorma, cazzo, e che domani passi questa rabbia e questa tristezza.
Ma se l’allatti tu al seno non dormirà finché lo allatterai tu al seno. Ma se l’allatti tu al seno, non vorrà altro latte che quello del tuo seno. E tu poi non vuoi aiuto perché hai sempre fatto tutto da sola, da quando avevi 13 anni e ti sei guadagnata la villeggiatura dell’anno successivo portando i caffè in giro per negozi per conto di un bar. “Non ho bisogno di nessuno per crescere questo figlio che ho voluto più di ogni altra cosa. Mi sono sposata per avere un figlio. Eccolo. Ora allontano tutti e me la vedo io”, novella Giovanna d’Arco.
Erano questi pensieri che si susseguivano giorno dopo giorno. Era una sequenza esatta di ore notturne trascorse a guardare il soffitto (che di notte non vedi), poppate, pannolini sporchi, panni da stirare, pappe da preparare, pranzi e cene, pannolini sporchi, cacche fatte e cacche non fatte. Sempre la stessa sequenza ripetuta per uno, due tre, quattro, cinque mesi. E questa sequenza non prevedeva l’intromissione di persone estranee al sistema mamma-figlio. Neppure il padre era ben gradito.
Ho impiegato mesi per tornare a fare l’amore con mio marito. Come cazzo fanno quelle che restano incinte del secondo figlio a un mese dal parto? Io me lo chiedo spessissimo! Sono automi, fantocci, rispondono ad un input ormonale del maschio mentre pensano alla biancheria da stendere e al bagno da pulire, è l’unica spiegazione.
Al corso pre parto mica me l’avevano detto! Mi hanno insegnato a rilassare i muscoli dorsali con la ginnastica dolce, a visualizzare cose belle durante il travaglio, a respirare per le spinte. T’insegnano come medicare il cordone, come fare il bagnetto, come attaccare il bimbo al seno, il massaggio addominale per fargli fare cacca. Ma mica mi avevano detto che con un figlio di pochi giorni in braccio, profumato di latte, morbido e caldo come un cucciolo di gattino, avrei preso a calci il comodino, lacerandomi il piede, per vincere la voglia di morire!!!
Quando il bambino aveva 6 mesi, la sequenza è stata interrotta: mio marito è stato molto male, ricoverato per molti giorni, ed io sono rimasta sola a casa con mio figlio divisa tra le sue esigenze di lattante con un principio di dentizione, la vita del padre appesa ad un filo ed i parenti di mio marito che hanno gettato benzina sul fuoco già scoppiettante di suo.
Questo evento molto probabilmente ha ritardato la mia guarigione. Perché passa, sai? Si, se riesci a capire cosa ti sta succedendo, passa. Ma la fatica più grossa è proprio capire cosa ti sta succedendo.
La depressione post partum si manifesta quando la donna è giù di morale non prova piacere e interesse nelle abituali attività, disturbi del sonno, iperattività motoria o letargia, mancanza di energie, sensi di colpa, bassa autostima, senso di impotenza, incapacità di concentrarsi e pensieri ricorrenti di morte.
Sarebbe bene identificare immediatamente le donne con la tristezza post-partum (o maternity blues come la chiamano i nostri lungimiranti cugini americani), in quanto, trattandosi di una sindrome benigna transitoria che interviene nelle prime 48 ore dopo il parto, di norma si risolve spontaneamente entro una settimana. Purtroppo pare che il 20% delle donne presentino un episodio depressivo maggiore nel primo anno dopo il parto.
Le cause della depressione post-partum sono molteplici e coinvolgono fattori ormonali, fisici, psicologici, sociali e cognitivi. Una donna dovrebbe riconoscerne i sintomi, che sono di entità maggiore rispetto a quelli di un semplice “baby blues”, e rivolgersi ad uno specialista se questi persistono oltre le due settimane, se si ha la sensazione di poter fare del male a se stesse o al proprio bambino e se i sintomi di ansietà, paura e panico si manifestano con grande frequenza nell’arco della giornata.
Una donna dunque che ha partorito con dolore, allatta con fatica, non dorme, non mangia, non vuol vedere nessuno, non vuol parlare al telefono, ha paura di uscire, ha sonno quando dovrebbe stare sveglia, si mette lì e, con lucida razionalità, riconosce almeno cinque dei sintomi che la fanno essere “depressa” piuttosto che “triste” per più di due settimane. Dopo aver razionalizzato ed elaborato il suo disagio, chiama lo specialista e chiede di essere sottoposta a psicoterapia ed eventualmente di partecipare a terapie di gruppo con donne che manifestano la stessa sintomatologia. E se ci aggiungessimo l’eventuale assunzione di ansiolitici e antidepressivi a supporto della terapia psicologica che, però, le dovrebbero far interrompere ex abrupto l’allattamento tanto faticosamente avviato??? Ma che bella fiction! Io di certo non potrei esserne la protagonista….
Niente di tutto questo mi è capitato. Dalla mia depressione sono venuta fuori da sola dopo molto più di un anno. Ho ammesso che fare la mamma, la moglie, l’amante, la donna lavoratrice e la casalinga era troppo anche per me e così ho mandato il bambino al nido, ho ripreso a lavorare, ho smesso di allattare in poche ore grazie alla cabergolina ed ho preso sonniferi ed antidepressivi sotto controllo medico. Poi mi sono concessa la psicoterapia, insieme a mio marito. Sessanta euro a settimana per non ricordo neppure quanti mesi, mi hanno prima destabilizzato più di quanto non fossi e poi ristabilito. Sarebbe un finale favoloso per quella fiction se non ci fosse il seguito.
Manco il tempo di finirla lì che ho ricominciato. Il benessere psichico mi ha fatto desiderare un altro figlio. L’ho cercato tanto che neppure un aborto mi ha fermato. Quel figlio doveva arrivare. Doveva darmi quell’opportunità che col primo figlio non avevo avuto: godere della sua crescita come le mamme delle pubblicità Plasmon.
Ho frequentato di nuovo il corso pre parto. Questa volta mamma con esperienza tra 16 primipare. Le ho annoiate sui racconti del mio parto, del primo bagnetto, delle pappe e tutto resto. Credo mi abbiano odiato a volte, costrette, soprattutto dagli operatori sanitari, ad ascoltare e riascoltare le mie avventure di mamma. Quello che hanno ascoltato poco, però, è stata la mia voce quando parlavo della depressione post partum. Mi sentivo come quando, col telecomando, abbassi la voce alla tv durante la pubblicità. Io dicevo “è importante, coinvolgete i vostri compagni, leggiamo qualcosa, informatevi, siate pronte a chiedere aiuto!” e loro erano concentrate sull’olio emolliente per i capezzoli, il centro di eccellenza nel quale partorire, la camicia da notte più pratica per allattare.
Ho chiesto alle responsabili del corso di parlarne, mi hanno accontentata: un’intera ora a parlare di depressione post partum, una giornata caldissima di luglio, in una stanza del Consultorio del mio distretto ASL, stipate in 16, boccheggianti e stanche donne in avanzatissimo stato di gravidanza.
Nessuna di loro ha prestato attenzione all’argomento. “A me non succederà perché mio marito è molto presente in casa”, ha detto sprezzante una di esse.
Mio marito ha preso un’aspettativa per starmi vicino, lui in casa cucina, fa la spesa, si occupa di nostro figlio maggiore come farei io… ma questo non conta. Con la depressione siamo sole con noi stesse. Bisogna coinvolgere loro perché un domani potremmo dover avere bisogno di chi ci accompagni al centro di salute mentale senza vergognarsi della compagna “pazza”, potremmo dover prendere farmaci che ci fanno diminuire il desiderio sessuale senza sentirci meno femmine, potremmo dover aver bisogno di prendere a schiaffi qualcuno che ci porge l’altra guancia”. Ma la facoltà della preveggenza di Cassandra non aiutò i Troiani… perché il mio allarme avrebbe dovuto allertare quelle donne in grazia di maternità?
Poi è arrivata la mia bambina. Bella e paffuta come il fratello, tranquilla e docile fin dal primo vagito. “Una contestatrice” ha detto il pediatra che le ha rilevato l’indice di Apgar. La montata lattea è arrivata dopo 5 ore dal parto. Il seno gonfio era a sua disposizione e lei succhiava voracemente quella linfa vitale. Mio marito ed io al Nono Cielo, quello delle dantesce gerarchie angeliche, le entità più vicine a Dio.
Passavano le settimane ed io mi sentivo sempre meglio, più bella e florida con una bambina tranquilla, mangiona, dormigliona. Tenevo a casa anche il primogenito, in modo che socializzasse con la sorellina. È stato tutto molto facile e scorreva tutto liscio. La bambina mangiava e dormiva, il bambino non era eccessivamente geloso e si comportava bene. Avevo voglia di uscire e dimostrare quanto fossi “mamma”. I rapporti con mio marito sono ripresi più velocemente di quanto non fosse accaduto col primo puerperio. Mi godevo progressi che del primo bambino neppure ricordavo, a causa del mio “buio”. E intanto partorivano, una dopo l’altra, quelle giovani donne che avevano frequentato con me il corso pre parto ma di loro avevo notizie sempre più rade.
Quando mia figlia aveva 3 mesi, durante una visita di controllo dal pediatra del Consultorio, ho detto anche in presenza di mio marito “Comincio a sentirmi strana….”. Il dottore, col quale ho avuto la fortuna di avere un filo diretto grazie ad un social network mi ha consigliato di chiedere aiuto al servizio sociale della nostra Asl, di stanza nello stesso Consultorio.
Nel giro di pochi giorni sono stata introdotta in un progetto di assistenza sociale, ho sostenuto un colloquio con delle donne fantastiche, le responsabili del centro di sostegno, che mi hanno immediatamente assegnato un tutor. Una laureata in Scienze del Servizio Sociale.
Giovanna per circa 9 mesi mi ha fatto da angelo custode, da amica, da sorella, da mamma, da figlia.
Lei veniva a casa la mattina alle 9, giocava con la bambina, prendevamo il caffè, io ne approfittavo per fare qualcosa in casa mentre lei mi teneva la bambina e ci giocava. E intanto parlavo e mi sfogavo e chiacchieravo… e siamo diventate confidenti l’una dell’altra. Abbiamo instaurato un rapporto bellissimo. Ma io avevo ancora paura di uscire di casa. Lei mi ha accompagnato a fare shopping, a fare visite mediche, a passeggio nel parco. Poi, confidenzialmente, mi ha raccontato che almeno altre 4 o 5 ragazze del mio corso pre parto stavano seguendo il mio stesso percorso, a causa della depressione.
Questa volta la conoscevo, sapevo che era depressione post partum e ne sono uscita prima. Ho fatto tesoro della psicoterapia, ho avuto colloqui con specialisti, ho incontrato amiche fantastiche che mi hanno stimolato ad uscire di casa, mio marito mi ha sostenuto più che mai, sono rifiorita, dimagrita, felice e soddisfatta di quelle gioie che sono i miei figli.
Ma non dimentico. Quello è un dolore che la femmina non dimentica, una lacerazione che però se sei brava non può farti più male. Ma ne devi parlare. Senza vergogna. Parlane. Raccontalo. Aiuta altre mamme. E’ bello crescere un figlio, sono belle le sue prime parole, i suoi progressi. Niente è meraviglioso come il sorriso di tuo figlio. Ma se te lo perdi a causa del tuo buio, non te lo perdonerai mai.
(se qualcuno ha voglia di raccontare la propria storia può scrivermi a [email protected]. Sarò lieta di dare voce a tutti, nel rispetto dell’anonimato e della privacy di ciascuno. Sono storie che riguardano tutti e parlarne non può che fare bene. Grazie!)