No, è solo che ci sta tremendamente bene nell’ambito del blog contest e dell’argomento che ho scelto.
Cosa sia una “buona madre” lo decidono gli altri. Il coro. Lo sguardo che approva e che rimprovera. Quelli che sanno sempre cosa si fa e cosa no. Cosa è giusto, saggio, utile. Quelli che dicono “è la natura, è così”: devi avere pazienza, assecondare i ritmi, provare tenerezza, dedicarti. Se ti senti affondare è perché sei inadeguata. Se soffochi è perché non hai gli strumenti della maturità. Se i figli non vengono devi rassegnarti, non accanirti, non insistere: si vede che non eri fatta per essere madre. Se non ne hai voluti devi avere in fondo qualcosa che non va. Se non hai nessuno vicino che voglia farne con te è perché non l’hai trovato, sei stata troppo esigente, forse troppo inquieta. Se preferisci il lavoro allora cosa pretendi. Se non ci sei mai che ne sarà di tuo figlio, se gli stai sempre addosso come potrà rendersi autonomo. Se ti stanca sei depressa, se ti fa impazzire sei un mostro. Se hai un padre ingombrante, una madre assente, se sei sopraffatta dalla loro presenza o se sei orfana; se la maternità non ti invade naturalmente e spontaneamente come un raggio di luce, se non ti cambia i connotati rendendoti nutrice solare, improvvisamente dedita e paziente: ecco, allora è chiaro che non hai l’istinto giusto. Sei inadatta, sei contro natura. colpevole, a pensarci bene. Una cattiva madre.
Eppure gli amori maldestri e asimmetrici, le donne che fanno figli per sempre o per un momento, quelle che non li fanno senza per questo sentirsi mancanti, senza sentirsi mancare, prendendosi intanto cura del mondo: quei casi esclusi dai manuali e dall’approvazione di chi intorno annuisce sono lì, evidenti. Vanno avanti, inciampano, si rialzano, ti salutano, mandano cartoline.
È che la vita, per fortuna, dà un posto alle cose. Quando sembra che non ce ne sia uno per sé guardarti attorno aiuta. Le storie, anche poche storie incrociate senza averle cercate, parlano di questo: di come invece ci sia un posto per tutto, a saperglielo dare. Un posto anche per l’assenza. Di quante ombre sia pieno l’amore perfetto, e di quante risorse inattese. Di quanti modi esistano per accogliere quello che viene, quello che c’è. Tanti modi così diversi e tutti senza colpa, alla fine: i modi che ciascuno trova. Certi drammatici, certi lievi e pieni di allegria. Cosa sia davvero contro natura è un altro tribunale a decidere. Dalle donne passa la vita, sempre. Dalla pancia, dalla testa, dalle mani e dai ricordi. Dalla capacità e dal desiderio di tenere dentro, a volte dall’impossibilità di farlo. Quello che succede nel transito non è materia per dibattiti.
(Concita De Gregorio, Una madre lo sa, Milano, Mondadori, 2006).