(In)ClementiVatileaks e “corvi” in Vaticano. Quali profili giuridici?

Comincio dichiarando una delle mie passioni che oggi mi porta qui di fronte a un conflitto di interessi. Da studioso, ho scritto un volume su uno Stato che, nonostante quanto si possa pensare, era ...

Comincio dichiarando una delle mie passioni che oggi mi porta qui di fronte a un conflitto di interessi. Da studioso, ho scritto un volume su uno Stato che, nonostante quanto si possa pensare, era stato un po’ dimenticato negli studi costituzionalistici e comparatistici: lo Stato della Città del Vaticano.
Così, con un po’ di fatica, nel 2009 -l’anno dell’80° anniversario della nascita dello Stato- ho pubblicato per l’editore “Il Mulino”, un volume tanto agile quanto conforme ai criteri accademico-scientifici, su quel “piccolo grande Stato” che è la Città del Vaticano (se volete si trova ancora qui). Per cui, oggi, che torna alla ribalta -o forse non ne è mai uscito- non posso non seguire con attenzione anche i profili e gli effetti giuridici che, alla luce delle inchieste giornalistiche, stanno emergendo.

Rispetto a quanto si legge fino ad oggi, a prima vista, vorrei sottolineare almeno tre aspetti giuridici:

(a) Il tema della natura giuridica dello I.O.R.: banca o strumento slegato da regole di intervento economico-finanziario? Le dimissioni del Presidente dello IOR Ettore Gotti Tedeschi, al di là di dinamiche interne proprie di quel livello di confronto politico-economico, mettono in luce che l’obiettivo di Benedetto XVI di utilizzare l’Autorità di informazione finanziaria (AIF) per contrastare gli illeciti finanziari, cioè quell’autorità costituita il 30 dicembre 2010 con il Motu proprioper la prevenzione ed il contrasto delle attività illegali in campo finanziario e monetario”, trova una dura realtà di fatto: se lo I.O.R. è e vuole essere realmente una banca, allora i criteri di trasparenza e di rispetto della normativa internazionale non sono più eludibili né, come si vede appunto, superabili e tollerabili in considerazione di “ragioni superiori”; se non lo è, e queste in fondo paiono essere le reali intenzioni –forse non del Papa appunto, ma di altri- allora bisogna aspettarsi che il sistema internazionale, bancario e finanziario, sia indisponibile a sostenere uno strumento di intervento economico-finanziario che pretende di giocare con regole diverse e autonome dalle generali regole del gioco, non da ultimo perché mentre hanno una destinazione chiara, in genere, i fondi dello IOR (“la carità del Papa”) pare non abbiano molto interesse, per coloro che operano nello IOR, da chi e come questi fondi vengano messi a disposizione.
Si dirà che il Papa non ha bisogno di una Banca. E gli scandali da Marcincus al caso Calvi sono lì a ricordarcelo. Eppure grazie allo IOR, come è noto, ad esempio, Solidarnosc ha ricevuto quei fondi che sono stati decisivi per combattere il comunismo e oggi quei fondi servono, in molti altre realtà, a tener viva la “Chiesa del silenzio”. Ma il nodo giuridico che oggi gli organismi internazionali pongono di fronte alla Chiesa è sempre più chiaro: o la Chiesa decide di essere dentro quelle regole, o sceglie di pagarne il prezzo. Non da ultimo perché ciò rende assai difficile per i soggetti economici operare con lei, a meno di non commettere illeciti interni, comunitari o internazionali.

(b) La rogatoria internazionale, come strumento di rapporto tra autorità giudiziarie vaticane ed italiane, è da superare. L’esperienza di questi anni dimostra come tra lo Stato della Città del Vaticano (e dunque la Santa Sede –chiedo scusa, ma non posso mettermi a spiegare gli intrecci e le differenze…) e lo Stato italiano sono ottimi, da anni. Eppure, questa vicinanza testimoniata in mille modi non ha ancora scalfito quello che è il bastione di diffidenza reciproca maggiore: l’uso di uno strumento giuridico “distante” di rapporto tra autorità giudiziarie vaticane ed italiane, come la rogatoria internazionale. Non sarebbe utile infatti che, stante i rapporti intensi, profondi e improntati al dialogo, i due Stati, così embricati, firmassero un accordo di collaborazione reciproca molto più stretto proprio relativamente ad una collaborazione giudiziaria? Questa forse potrebbe essere la via migliore per sanare e sedare tanti problemi che oggi sembrano effettivamente poco sormontabili. D’altronde, se la collaborazione c’è in tanti ambiti, perché non introdurla davvero e per bene anche in questo? Sono sicuro ne guadagnerebbero entrambi gli Stati.

(c) L’asimmetria di trattamento tra rei italiani, lavoratori in Vaticano, e rei cittadini vaticani. Quali effetti può portare la scoperta che cittadini italiani, lavoratori in Vaticano, abbiano ideato, sostenuto, partecipato e contribuito alla diffusioni di informazioni e documenti di uno Stato estero, il Vaticano appunto? Effetti molto rilevanti. Se i cittadini vaticani vengono indagati e perseguiti nell’ambito della giustizia vaticana, la speranza di un perdono non è da escludere a priori (anzi, come non potrebbe essere trattandosi in fondo una “giustizia del perdono”?); se vengono indagati i cittadini italiani che lavorano in Vaticano questi, invece, indagati, imputati e condannati di reati assai gravi, potrebbero subire tutta la durezza di una giustizia penale costruita dentro un modello democratico. Non possiamo non immaginare questa asimmetria di trattamento potenziale non momento in cui le indagini –come ha richiesto la rogatoria vaticana allo stato italiano- sono in corso. Il rischio di un “doppiopesismo”, quindi, mi pare presente. A maggior ragione, laddove vi fosse un accordo giuridico che delinei con chiarezza anche questi casi, si potrebbe operare senza asimmetrie.

Insomma, al di là delle dinamiche politiche dello scontro, penso che il c.d. caso Vatileaks possa essere anche un’ottima opportunità per migliorare i profili giuridici che legano, e legheranno sempre, lo Stato della Città del Vaticano con lo Stato italiano. Riconoscerlo, è già un primo passo per dare una soluzione adeguata.

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