From Paris with blogLaurence Anyways al cinema: esiste un “modo giusto” per raccontare la transessualità?

Ha solo 23 anni, ma sembra destinato a cambiare le carte in tavola del cinema francofono contemporaneo. Si chiama Xavier Dolan, è nato a Montrèal ed è molto probabile che presto ne sentiremo parlar...

Ha solo 23 anni, ma sembra destinato a cambiare le carte in tavola del cinema francofono contemporaneo. Si chiama Xavier Dolan, è nato a Montrèal ed è molto probabile che presto ne sentiremo parlare anche in Italia. E’ appena uscito nelle sale il suo terzo lungometraggio, Laurence Anyways, ultimo capitolo di quella che lui stesso ha definito “la trilogia degli amori impossibili”.

Il film racconta per più di due ore e mezzo la storia di un professore di lettere, Laurence (interpretato dall’immenso Melvil Poupaud) e della sua compagna Fred (l’ottima Suzanne Clément, già premiata a Cannes per questo ruolo), a partire dal momento in cui lui le confida, liberandosi da un fardello sopportato per 30 anni, di voler cambiare sesso. Nel corso di dieci anni, dal 1990 al 2000, i due cercano di vivere insieme – visto che lui, nonostante cominci a vestirsi da donna, è determinato nel non perdere la donna che ama, – poi si lasciano, poi si ritrovano e alla fine chissà. La storia, che alterna abilmente situazioni surreali ai momenti drammatici legati allo sguardo perplesso della società, alla solitudine del protagonista e all’inferno vissuto dalla sua compagna, divisa tra l’amore passionale nei confronti dell’amante e la certezza che prima o poi diventerà una donna a tutti gli effetti, è arricchita dalla cifra stilistica tipica del regista canadese: montaggio serrato, carrellate scenografiche, camera a mano e ralenti, una fotografia di rara bellezza (l’utilizzo dei colori è sorprendente), ma soprattutto una colonna sonora originale ed efficace.

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A me è sembrato un ottimo film, depurato – meno male! – dalla megalomania del regista e dalla scrittura superficiale che avevano caratterizzato il precedente “Les amours imaginaires” – più un affresco dell’universo hipster che una storia, – ma soprattutto in grado di trattare un argomento cosi’ delicato con una profondità drammatica mai scontata e talvolta anche con delicata ironia, tanto che ci si chiede come un regista di appena 20 anni abbia potuto dipingere in maniera cosi’ accurata le sfumature della vita di coppia di due protagonisti alla soglia degli anta.

Eppure, il pubblico dei transessuali – a mio avviso spesso troppo, quasi fastidiosamente esigente – sembra non aver gradito. Lo apprendo dal mensile francese gay oriented Tetû, che, in vista dell’uscita del film, ha dato la parola ai transessuali, chiedendo un giudizio. Per la maggior parte di loro, dunque, il film “non è realista” o, ancor peggio, “non fa che perpetuare i soliti cliché”; mentre secondo la voce ufficiale di Marie-Eve Baron, dell’associazione Fierté Montreal, “sul piano sociale e politico non rappresenta un passo avanti per la causa dei transessuali”.

E per questo mi chiedo: queste critiche, invece, fanno bene alla comunità dei transgender? Sono funzionali alla loro lotta contro la discriminazione? Esiste davvero un “modo giusto” per mostrare la transessualità? E’ forse meglio fare come si è sempre fatto, cioé non parlarne affatto?

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