Appunti e disappuntiVita da azienda: Facebook potrebbe cambiarla in meglio ma i manager non ci sentono

Sono quindici anni ormai che lavoro presso una grande azienda, non ricopro un posto di spicco, tutt'altro, sono l'ultima ruota del carro: un po' per scelta, un po' per convenienza e quieto vivere.....

Sono quindici anni ormai che lavoro presso una grande azienda, non ricopro un posto di spicco, tutt’altro, sono l’ultima ruota del carro: un po’ per scelta, un po’ per convenienza e quieto vivere… Ma in quindici anni ho avuto modo di appurare una serie di aspetti del mondo lavorativo che amo analizzare per inguaribile curiosità. Alcuni dei futuri post di questo blog infatti saranno incentrati proprio su questo argomento, proponendo un interessante punto di vista: quello di chi dal “basso” prova a guardare le ragioni di chi comanda.

Chissà cosa devono aver pensato i dirigenti della mia azienda quando, qualche mese fa, un perfetto sconosciuto ha inviato loro una email per descrivere in tre pagine Word un’idea diversa di azienda. Quell’idea l’avevo messa giù in poco tempo, con la fregola di chi vorrebbe provare a migliorare il luogo dove lavora e magari farsene uno sciocco vanto. Dopo essermi consultato col mio capo reparto ho inviato questa email a tutto il management aziendale, perché come spiegai al mio capo: “Questa idea non può fermarsi ad un capo reparto, questa idea deve essere visionata da chi potrebbe realmente cambiare le cose”.

Trascorsi tre mesi nessuna risposta è mai giunta. Così quando è subentrato un nuovo capo dirigente molto propenso al dialogo e al confronto costruttivo, ho rifatto un ulteriore tentativo. Ho riscritto la mia email lamentando il precedente tentativo andato vano. Il giorno dopo ho ricevuto una gradita risposta venendo ringraziato per il mio contributo con l’assicurazione di un’indagine sul perché non avessi avuto in precedenza una risposta. In realtà una vera risposta non l’ho mai avuta e la mia idea è morta lì, senza una richiesta di chiarimenti o un: “mi spiace ma la sua bella idea non è applicabile alla nostra azienda, continui così…” Sarebbe stato opportuno. Ma forse chiedevo troppo…

Quale era l’idea “rivoluzionaria” che avrei voluto implementare? Un concetto di azienda che condivida i saperi di tutti i dipendenti e li possa sfruttare al meglio. Per fare ciò era importante utilizzare una piattaforma tipo Facebook aziendale. Ogni dipendente dovrebbe avere un suo profilo e la possibilità di interagire con tutti gli altri dipendenti, compresi i dirigenti. Significa che se c’è un problema in azienda esso viene condiviso, anche se di natura strettamente tecnica, o un semplice problema con un file di Word: qualsiasi cosa può essere condiviso con tutti. Questa condivisione determina delle risposte, dei suggerimenti o persino dei feedback sulle scelte aziendali o su proposte di miglioramento ecc. Qui la fantasia può sbizzarrirsi… Ovviamente un sistema simile abbatte i costi di consulenze, ditte specializzate (perché si sfruttano potenziali conoscenze individuali) ma soprattutto una visione di partecipazione che rende l’azienda parte di ogni dipendente. Il mondo dei sogni, penserete voi… Forse sì!
Dopo questa mia “bravata” mi sono chiesto se l’aver ignorato per due volte la mia proposta dipendesse da una mia incapacità comunicativa o da altre ragioni. Sono giunto a una prima risposta, riflettendo sul fatto che da sempre l’impostazione di lavoro nelle aziende è tayloristica: cioè tutte le scelte aziendali vengono prese dai dirigenti senza necessità di confronto con i dipendenti, salvo per trattative sindacali obbligatorie per legge. In effetti tutto quel che riguarda l’organizzazione interna e le scelte di investimento sono esclusivo appannaggio dei dirigenti, ma le scelte dei dirigenti raramente toccano i propri interessi e normalmente avvengono senza la minima sensibilità per chi lavora, per non parlare della scarsa conoscenza dei singoli processi produttivi che sono chi li tocca con mano quotidianamente può conoscere bene.

Il difetto delle aziende italiane è senza dubbio il rigido schema decisionale che esclude a priori ogni suggerimento dal basso. Questo principio è di fatto superato nelle realtà produttive avanzate; infatti il decantato modello tedesco prevede una partecipazione dei dipendenti alla vita aziendale e persino da parte dei sindacati.
Mantenere un’impostazione tayloristica del lavoro soffoca le spinte individuali, il senso di partecipazione e quindi l’interesse nel rendere il luogo di lavoro piacevole ed efficiente. La realtà che tutti viviamo è quella di un luogo di mortificazione delle idee, di insoddisfazione e di inutili attriti. Di certo non si pretende di applicare il modello Google estremamente aperto, creativo e anti gerarchico, ma ovvio che qualcosa va cambiato. Gli esempi come sappiamo esistono, ma chi è in grado di far comprendere ai manager che loro stessi non sono onniscienti e che dovrebbero confrontarsi con la realtà? Nessuno, solo il confronto con altre aziende (la prassi consolidata di tutti i manager senza idee) dove il modello competitivo, frustrante e verticistico assume forme estreme. E finché la moda del taylorismo andrà avanti, noi comuni mortali con uno stipendio senza bonus milionari e Mercedes da contratto, dovremo lavorare senza alzare un dito per lamentarci perché ormai ci hanno tolto anche quel diritto: articolo 18 docet.

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