Tutti lì a tuonare contro il nemico del politique bureau: non ha proposte, sa solo sparare contro i padri. E’ un ingrato, si è dimenticato che è solo grazie a loro se oggi può giocare a fare il rottamatore. Qualcuno preferisce tapparsi occhi e orecchi: le sue idee sono vecchie bacucche. Da che mondo e mondo il liberismo fa il paio con la destra. Qualcun altro, un D’Alema qualunque, lo liquida con una frase striminzita: «Renzi non è in grado di governare il Paese». E intanto lui cammina, procede senza curarsi troppo degli strali che gli piovono addosso. La mattina a Firenze, gli oneri da Sindaco vanno pur sbrigati in qualche modo. Pomeriggio e sera, invece, in giro per l’Italia a bordo del suo camper. Due mesi da nomade, quelli che lo aspettano. Due mesi in cui dovrà convincere scontenti e indecisi a votare per lui. Non tanto alle secondarie, ormai le elezioni politiche si chiamano così. Quanto più alle primarie, la vera sfida si gioca sul fronte interno, quello della lotta fratricida tra correnti. Della serie: fratelli coltelli.
Il rischio è proprio questo: perdere di vista l’obiettivo finale. Appassionarsi troppo alla battaglia contro la dirigenza di un centrosinistra pleistocenico, dimenticandosi che i conti si faranno alla fine, quando dovrà vedersela con Berlusconi e populismi di vario genere . Dovesse mai capitargli di perdere, sarebbero ancora tutti lì, spocchiosamente pronti a ricoprirlo d’insulti. Già le sento quelle vocine d’apparato, quelle stesse che oggi non hanno ancora trovato il coraggio di dire se lo sosterranno o no, Renzi, in caso vincesse le primarie. O se, ancora, toccherà assistere al modello Palermo con l’autopromozione di un candidato alternativo. Certo, questa sarebbe l’unica soluzione priva di contraddizioni. Altrimenti si aprirebbero due strade: l’incoerenza, e Renzi diventerebbe in grado di gestire il paese con gran plauso di quelli che oggi gli ridono dietro. Oppure l’irresponsabilità, gravissima, di sostenere un candidato ritenuto incapace. Scelgano loro, quella che preferiscono. Di certo spaccare il partito non è una soluzione.
Primarie sclerotiche, sintomo di una politica anch’essa sclerotizzata. Mille candidati, nessuna coalizione. Geometrie da studiare sui manuali di scienza politica. Rutelli che esce dalla finestra e vi rientra in pompa magna, una volta sancito con un tweet il fallimento del Terzo Polo. E l’Udc a civettare con Bersani. Ognuno che, a briglie sciolte, dice la sua, salvo proporsi di far parte di una coalizione grande o piccola che sia. Niente di più simile all’orgia dell’Unione, tutti dentro e chissà cosa ne viene fuori. Chissà, appunto. La storia ci ha insegnato che a furia di compromessi, il calderone esplode. Pare che qualcuno, da quest’orecchio, non ci voglia proprio sentire.
Nel gran caos, però, una cosa è certa. Il dato generazionale conta eccome. Non solo per evitare gli errori del passato, e chi li ha commessi dovrebbe aver fatto un passo indietro da un bel pezzo. Ma anche per leggere le mutazioni in maniera profonda. Parole come famiglia, ambiente, tecnologia, assumono significati diversi a seconda di chi le ha vissute ieri o oggi. I concetti di spazio e tempo hanno subito un’evoluzione come mai nella storia, attraversare il globo in ottanta giorni è poco più che un bel racconto. Attraverso la rete è possibile comunicare in pochi secondi con persone da ogni parte del mondo, aprire imprese con un click. Organizzare manifestazioni in piazza, informare. Ed è sempre grazie alla rete se si è raggiunto il definitivo superamento della contrapposizione tra capitale e lavoro. Ovvietà, per alcuni. Rivoluzioni copernicane, agli occhi di qualcun altro. Il nodo è tutto qui, Renzi o non Renzi. Selezionare una classe dirigente che li dia per scontati, questi cambiamenti. Che li viva e non li subisca. In una parola, che li governi.