Niente da dire, va dato atto a Renata Polverini di non essere una di quei politicanti bullonati alla poltrona. Uno dei rari casi in cui, nonostante non ci sia nessuna provata responsabilità penale, il diretto interessato si dimette. Questione di accountability, come direbbe qualche osservatore anglofono.
In politica ci è arrivata da poco, era il 2010. Una cavalcata trionfale, quella che la portò sullo scranno più alto de La Pisana. Ere geologiche fa, a guardarsi indietro. I tempi in cui Berlusconi poteva ancora promettere di sconfiggere il cancro senza che nessuno gli facesse una pernacchia. Lei, segretario generale dell’Ugl, il sindacato di destra, donna di nessuno, battitrice libera dentro un mondo fatto di pesi e contrappesi, faide e ricomposizioni di facciata. Qualcuno a sinistra ne subì il fascino, qualche cattolico in rotta con la Bonino, troppo laica per i suoi gusti, può essere stato tentato dal voto disgiunto. Memorabile la cascata di applausi che la accompagnarono alla Festa Democratica di Genova del 2009. Si parlava di lavoro. Da più parti giunsero attestati di stima: sembrava che finalmente la destra avesse un volto umano. Del resto, lo sdoganamento a sinistra aveva un “padre nobile”: Walter Veltroni che avrebbe voluto la Polverini in parlamento col suo Pd, quello che nel 2008 elesse tra i tanti Calearo.
Anche lei, da par suo, non fu mai troppo severa nei confronti degli avversari. Almeno fino a che non diventò il Presidente della seconda Regione d’Italia, dovendo così scegliere da che parte stare. Era sempre il 2009, mese di febbraio. Intervistata da Giancarlo Perna per il Giornale lo disse chiaramente: «Io liberista mai. Sono per un socialismo buono e una migliore distribuzione della ricchezza. La redistribuzione capitalista è una favola. Favorisce speculazioni finanziarie e rendite incontrollate». Più vicina a Diliberto che a Renzi, insomma. E poi ancora, impegnata per il Corriere Magazine in un esercizio di fantapolitica, dichiarò senza troppi giri di parole di volere Anna Finocchiaro in un suo ipotetico Governo. Una conservatrice atipica anche sulle tematiche più scottanti, nette le sue posizioni contro la riforma dell’articolo 18, sempre difeso con le unghie e con i denti.
Oggi volano gli stracci. Quella sinistra tanto cara le ha voltato le spalle. Come quando arrivò da gran diva in elicottero alla Festa del Peperoncino di Rieti, in barba ai tagli draconiani della sua stessa Giunta. O come quando, nel mese di agosto, le venne assegnato tutto per lei che doveva essere operata un reparto chiuso dell’Ospedale San’Andrea. Arroganza al potere, tuonò qualcuno da sinistra. Fu in quel caso che cominciò a circolare la parola dimissioni, ma alla fine non se ne fece nulla. Poi siamo alle vicende di questi i giorni, ostriche e champagne pagate coi fondi del gruppo regionale del Pdl (e dei contribuenti), spese pazze a destra e a manca. Riedizioni del Satyricon di Fellini che più cafonal non si può. Il gruppo del Pd ripone il proprio mandato nelle mani del capogruppo Esterino Montino ma non si dimette. Lei, per evitare ulteriori figuracce, li anticipa e si fa da parte con tanto di caciara e botte da orbi tra qualche giornalista e lo staff della Presidenza. Minaccia di rivelare tutto: «Anche il Pd voleva regolare una battaglia interna, le ostriche e champagne non le ha mica inventate l’ex capogruppo. Li mando a casa io. Non si permettano di parlare male di me e della mia famiglia». E poi ancora, affermazioni da brivido: « Da pochi minuti sono tornata una persona libera, questo sistema me lo sentivo come una gabbia, da domani dirò ciò che so». E intanto su twitter impazza l’hashtag #arenata, qualcuno ripesca una celebre foto in cui, tra un festeggiamento e l’altro, le scappa il saluto romano. Alla faccia del socialismo buono. E della sinistra che tanto l’applaudiva.