Bei tempi quando bastava un impegno verbale di Enrico Cuccia, senza bisogno di firme per presa conoscenza, e l’aumento di capitale di una società affiliata al salotto buono era cosa fatta. Tempi andati.
Il salvataggio della Fondiaria Sai è diventato una specie di pochade finanziaria-sentimentale, piena di intrighi e colpi di scena, ma adesso la vicenda si arricchisce di dettagli ai limiti del surreale. Bisogna ricordare che a inizio agosto avevamo lasciato i protagonisti di questa “operazione di sistema” alle prese con doppio flop: sia l’aumento di capitale di FonSai sia quello parallelo di Unipol (1,1 miliardi a testa) si erano chiusi con un ampio “inoptato”, che vuole dire che non erano stati trovati abbastanza investitori disposti a metterci i soldi. Nel caso di FonSai, mancano all’appello 432 milioni (fra azioni ordinarie e risparmio), ossia il 61% della parte di aumento soggetta a rischio mercato.
Arrivati dunque a settembre, è partita l’asta dei diritti di opzione che il mese scorso era stata rinviata a settembre, in attesa di tempi migliori. Avviata ieri con la vendita di 975 diritti, l’asta si è chiusa oggi. In un solo colpo, sono stati acquistati i rimanenti 1,153 milioni di diritti di opzione sulle azioni ordinarie. Tutto esaurito, quindi, un successone? A prima vista si direbbe di sì, senonché al prezzo di 0,0002 euro ciascuno, fanno in totale 230 euro. Che è come dire zero. Non si vedono code di investitori, nonostante l’imponente schieramento di banche del consorzio. Su Unipol, inoltre, i giochi sono ancora aperti: sono stati piazzati 2,8 milioni di diritti su un totale di 5,7 milioni.
Sarà curioso vedere se questi diritti verranno esercitati integralmente (c’è tempo fino al 10 settembre, e servono 290 milioni), chi li eserciterà e dove saranno parcheggiate le azioni non assobirte dal mercato.
Twitter: @lorenzodilena