di GIULIANO GASPAROTTI e GUIDO FERRADINI – http://www.officinedemocratiche.it
All’indomani dell’approvazione della legge di contrasto alla corruzione, si riapre il confronto sui temi della Giustizia troppo spesso strumentalizzati, da una parte e dall’altra, da tesi e proposte che avevano l’unico obiettivo di salvaguardare interessi di parte piuttosto che guardare al bene comune. 5.000.000 di cause civili pendenti sono una zavorra che pesa sulla crescita del Paese, un costo elevatissimo che grava su cittadini ed imprese che non a caso investono con riluttanza per un fattore troppo spesso trascurato: l’incertezza e quindi l’aumento esponenziale dei rischi, da calcolare per decidere l’appetibilità di un investimento.
Non è un caso che da anni l’Italia colleziona condanne internazionali per l’estrema lunghezza delle cause: una questione complessa da affrontare con misure urgenti che possano tendere a due obiettivi. Il primo è l’efficienza e per poterlo realizzare occorre una riforma organica che non sia solo una ricerca emergenziale della riduzione dei costi. L’informatica applicata alla Giustizia, ad esempio, è la chiave di volta per poter snellire e velocizzare il funzionamento della macchina amministrativa.
Il secondo è il merito che si può ottenere se culturalmente prima ancora che giuridicamente si riesce a sdoganare una parola chiave che troppi temono e che si chiama valutazione. Meccanismi automatici di avanzamento della carriera basati solo sull’anzianità, discorso che vale per tutto il pubblico impiego, non sono accettabili in queste condizioni.
In questa ottica la norma sulla responsabilità civile dei magistrati, la semplificazione dei riti, il corretto uso delle intercettazioni, specie riguardo la diffusione di informazioni che non hanno rilevanza giuridica, ed il provvedimento sullo snellimento dell’organizzazione della Giustizia, ad esempio con la soppressione delle 220 sezioni distaccate dei tribunali, sono da interpretarsi come dei positivi passi avanti verso la realizzazione di una riforma di sistema non più rinviabile. Polemiche a parte, i maggiori nemici dei giudici sono coloro che vorrebbero il mantenimento dello status quo e quindi il perpetuarsi di una paralisi che è nulla di più che il passo precedente al crollo del funzionamento di uno dei tre poteri fondamentali dello Stato.
Cambiare è necessario, anche se aprire un dibattito serio su questo tema comporta accollarsi dei grandi rischi. I diritti dei cittadini, tuttavia, non si possono solo proclamare ma debbono essere resi effettivi. E la crescita del Paese non si può rinviare specie in una situazione di crisi economica grave come quella che stiamo vivendo. Affrontare laicamente la questione per risolverla coinvolgendo tutti gli operatori coinvolti è l’unico modo per aggredire i nodi che ci sono e fare un servizio positivo all’Italia. Guardando quindi al solo bene comune e non alla salvaguardia degli interessi di parte. Un compito che spetta alla politica che con coraggio ed onestà non può non riappropriarsi del proprio ruolo di guida negli interessi dei cittadini: decidendo ed assumendosi la responsabilità per le riforme necessarie che verranno.
Anche a costo di strappare qualche facile applauso in meno.