«L’Italia è il Paese che amo». Sguardo fisso in camera, le parole scandite lentamente come si trattasse di una poesia. Così è cominciata la Seconda Repubblica, quella del cambiamento, nelle intenzioni di chi ne ha dato vita. Rivoluzione liberale, meno stato più mercato. Sembravano riecheggiare le parole di Ronald Reagan, il suo discorso inaugurale alla Casa Bianca: « Il governo non è la soluzione del nostro problema, il governo è il problema». Si badi, governo con la minuscola, la lettera dei nomi che non ci piacciono, quelli a cui si attribuisce poca importanza. Sembrava che l’Italia, dopo Stati Uniti e Gran Bretagna, avesse scelto la linea dell’ultra-liberismo con un ritardo di quindici anni. Una società immobile, quella immaginata da questi strambi imprenditori della politica; una società in cui contasse più la rendita, che la forza di volontà.
Forse non avranno raggiunto l’effetto auspicato, e a seconda delle proprie convinzioni si tragga o meno un sospiro di sollievo. Ma le statistiche dicono altro, raccontano di un’Italia in cui il 10% delle famiglie controlla quasi la metà della ricchezza. Eravamo più egualitari trenta o quarant’anni fa, questo è poco ma sicuro. I redditi ristagnano, il potere d’acquisto cala. La disoccupazione raggiunge i massimi storici, il 10,7% nel mese di Agosto, un milione di persone senza un lavoro. Un lavoro per cui lottare con le unghie e con i denti, ce lo raccontano i casi Alcoa e Carbonsulcis. Minatori disposti a tagliarsi le vene, pur di preservare quel minimo di entrate mensili. E poi c’è il caso dell’Ilva, cittadini che pagano con la vita un ciclo produttivo altamente inquinante. Lavoratori in bilico tra il diritto alla salute e quello ad un posto di lavoro. Perché, con un eccesso di facilità, è stato dimenticato che salute e lavoro sono diritti sanciti dalla Costituzione.
E lei, la Costituzione, lo dice forte e chiaro, quasi lo grida, che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». E, ancora, che «E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». E’ l’articolo 3, un articolo carico di storie e di significati. Parla di donne obbligate a scegliere tra famiglia e carriera, di unioni di serie A e unioni di serie B, quasi che amarsi fosse diventata una colpa da espiare. Parla di razzismo, di porci accompagnati là dove si prevede la costruzione di una Moschea. Parla di scelte, come mettere al mondo un figlio e come morire. Parla di quarantenni precari e di sessantenni esodati.
Questo blog si propone l’obiettivo di far parlare voi, di raccontare le vostre storie di diritti negati. Dello smarrimento di fronte ad una prospettiva che temete immutabile. Una rubrica settimanale, la chiameremo Articolo3, in cui far viva la vostra voce, perché la parola e lo scritto contengono di per sé i semi del cambiamento. Raccontami la tua storia, pubblicamente o in forma anonima, all’indirizzo [email protected] . Il vostro posto è qui. Adesso.