Dopo la rottamazione di renziana memoria, e la notte delle scope che segnò il definitivo declino della lega targata Umberto Bossi, ecco la rivolta delle cravatte. In Piazza San Fedele arrivo un po’ per caso, incuriosito da qualche amico liberale di stretta osservanza, quelli per cui lo stato dovrebbe scomparire dietro la mano invisibile del mercato. «Per uno come me, Fermare il Declino è l’ideale», sostiene. I volontari dello staff, giubbino rosso e scritta “Fermare il declino” appuntata sul petto, distribuiscono volantini: “La classe politica emersa dalla crisi del 1992-94 – tranne poche eccezioni individuali – ha fallito: deve essere sostituita”. La ricetta? Semplice: “Meno spese, meno tasse, meno debito”. Ne fermo una a caso, una cinquantina d’anni, sguardo vispo: «Che cosa significa per lei fermare il declino?» «Proprio a me lo deve chiedere?», sorride e se ne va. Intravvedo qualche leghista tra il pubblico, il nuovo corso impone un dialogo serrato con l’imprenditoria del nord. E, chissà mai, un asse con qualche nuova forza liberale.
C’è un contrattempo: l’appuntamento, inizialmente previsto in Piazza alla Scala, è spostato all’ultimo in Piazza San Fedele, pochi metri più in là. Tre giovani volontari issano uno striscione per indicare la strada. Arrivo. Di sottofondo Andrea Bocelli, Con te partirò, più adatto a una serata benefica che a un comizio infuocato. «Sai, anche lui ha firmato il nostro manifesto». Già, il manifesto. Sono dieci punti. Molto liberismo, molto livore anticasta: riduzione della spesa pubblica, della pressione fiscale, adozione di una legge contro il conflitto d’interesse, liberalizzazione di tutti i settori non perfettamente concorrenziali. Ma anche far funzionare la magistratura (come, non è dato a sapersi).
L’affluenza è buona, ma non troppo. Tante cravatte, tanti gessati, molta eleganza. Nell’aria, un profumo che vorrebbe essere inebriante ma risulta stomachevole. La crema della borghesia liberale sembra essersi data appuntamento qua. Nel cuore di una Milano quanto mai in evoluzione.
Il primo a parlare è Michele Boldrin, uno dei volti più noti del movimento. Un discorso che è tutto un colpo di sciabola contro questa politica, questi partiti. Questa classe dirigente incapace. Verrebbe da confonderlo con un grillino di stretta osservanza, ma invece è professore all’Università di St. Louis. E poi il bocconiano Alessandro De Nicola: «Ci sono insegnanti validi che tra deduzioni e detrazioni guadagnano 700 euro al mese. La Cgil si lamenta dei tagli alla scuola, ma che cos’ha fatto in questi anni per promuovere il merito?». Luigi Zingales, a lungo riferimento di Matteo Renzi per la politica economica, si cimenta in un’arringa dalle venature anti-clericali: « «Il monopolio toglie l’incentivo a essere efficienti, ecco perché la Chiesa sta perdendo i fedeli. Negli Stati Uniti c’è meritocrazia anche nella religione, da noi invece c’è corruzione anche nella Chiesa». E ancora, per criticare la scelta dello Stato di far piovere incentivi sulle imprese: «Nel Grand Canyon c’è un cartello che proibisce ai turisti di dare da mangiare agli animali: se gli si dà da mangiare perdono l’abitudine di procacciarsi il cibo da soli». Applausi a scena aperta.
Ma il vero king maker della serata è Oscar Giannino. Dalla platea, uno striscione artigianale con la scritta: “La notte degli Oscar”. Tuona contro la patrimoniale, Monti, il Pdl e certa sinistra che vorrebbe «Hollande al cubo». Occhiolino a Renzi, ma anche a Gabriele Albertini. Se decidesse di correre per Regione Lombardia senza il sostegno di questi partiti moderati, avrebbe quello di Fermare il Declino.
La conclusione è grottesca, segno che il populismo può germinare anche nei movimenti più liberali. Giannino è infervorato, sembra in preda a una crisi convulsiva. Scandisce a ripetizione le parole «Fermiamo il declino». La platea lo segue: al diavolo le cravatte firmate, i profumi e i capelli tenuti assieme da chili di gel. Quando ce vo’, ce vo’. «Sono un ingegnere, ho sempre votato centrodestra. Questa è la risposta liberale a quello che non è stato fatto in questi vent’anni», mi dice Paolo. «Sembrava di sentir parlare Renzi…» «No, Renzi è positivo ma è un bluff, Giannino no». Gli fa eco una signora elegante, il sorriso smagliante: «Io, invece, ho sempre votato a sinistra. E Giannino lo vedrei benissimo con Renzi».Dopo vent’anni di speranze, la rivolta delle cravatte parte da qui.