Città invisibiliAd Amsterdam, lo Stedelijk Museum si fa attendere. Ora sappiamo che ne valeva la pena

Le chiusure dei Musei sono all’ordine del giorno da Noi. Chiusure non solo definitive. Ma anche programmaticamente ad horas. Ma che nella realtà si protraggono quasi all’infinito. Come accaduto al ...

Le chiusure dei Musei sono all’ordine del giorno da Noi. Chiusure non solo definitive. Ma anche programmaticamente ad horas. Ma che nella realtà si protraggono quasi all’infinito. Come accaduto al Museo Nazionale di Reggio Calabria.
Altrove è spesso un’altra storia. Non solo nei paradisi statunitensi ed asiatici, ma anche in Europa. Dove, non infrequentemente, la pazienza per l’attesa trova un più che valido conforto in straordinarie realizzazioni. Come nel caso dello Stedelijk Museum di Amsterdam.
Dopo otto anni di lavori, è da poche settimane riaperto il museo più grande d’Olanda. Un rinnovamento costato 127 milioni di euro, all’incirca 20 più del previsto. Anche in ragione di alcune difficoltà in corso d’opera. Non differentemente per ogni operazione profonda, anche per il nuovo Museo, i giudizi sono di segno opposto. Quel che appare inequivocabile è che l’operazione al contenitore ha comportato interventi anche sul contenuto. Quindi, nuove acquisizioni di opere e donazioni importanti. Come l’istallazione luminosa di Dan Flavin dedicata a Mondrian e il ritratto di Bin Laden di Marlene Dumas. Che vanno ad aggiungersi ad una collezione d’arte e design tra le più ricche al mondo. Oltre 90mila pezzi che vanno dal 1870 ad oggi. Tra le quali opere imponenti come La perruche e la sirène di Matisse e il Wall Drawing#1084 di Sol LeWitt.
Eccola la prima ragione dell’intervento alla struttura museale. La necessità di ampliare i suoi spazi espositivi. Ma anche di ripensarne il concetto. Esigenze alle quali si è data risposta passando attraverso diverse fasi. Dopo aver prima approvato e poi ripudiato due progetti, dopo che la prima impresa di costruzioni è fallita, l’incarico allo studio di architettura Benthem Crouwel di Amsterdam. Quindi la decisione di procedere aggiungendo (e collegando) all’edificio esistente un altro. Al palazzo storico costruito nel 1895, un edificio dalle linee moderne. Sommando ai vecchi 10mila metri quadrati i nuovi novemila.
Un intervento radicale. Che ha ruotato l’ingresso, spostandolo sul Museumplein, l’area del Van Gogh Museum, del Rjiksmuseum e del Concertgebouw. La gigantesca ala bianca disegnata dallo studio Benthem Crouwel, “immersa” nelle architetture storiche che la circondano, non sfigura. Tutt’altro. Il nuovo corpo dello Stedelijk, un gigantesco volume lungo cento metri e alto diciotto, anche cromaticamente “emerge”. Con il bianco del Twaron, la fibra sintetica che viene dall’aeronautica spaziale, e della fibra di carbonio Tenax.
“La vasca da bagno”, come gli abitanti della città hanno denominato la nuova struttura, all’esterno presenta una brutale cesura tra il vecchio e il nuovo edificio. Che all’interno non si avverte. Al punto che ci si può spostare da un’ala all’altra senza accorgersene. Come gli spazi interni, anche l’allestimento, è dichiaratamente improntato ad una fluidità controllata. Nella quale i dati cronologici sono tutt’altro che elementi discriminanti nella creazione dei percorsi. Dallo spazio, per così dire, di benvenuto, occupato da un ritratto della regina Beatrice d’Olanda, realizzato da Luc Tuymans, si può procedere in direzione delle quattro aree che distinguono il primo dal secondo Novecento, il contemporaneo e il design.
Nel complesso va salutata con soddisfazione la nuova realizzazione. Che senza dubbio risponde all’esigenza “progressista” degli olandesi. Alla loro voglia di sentirsi al passo con i tempi. All’ambizione di molti architetti di disegnare edifici che siano riconoscibili. Insomma che provino a raccontare una nuova storia. Perché l’Olanda non è l’Italia.

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