Ha dovuto rompere il silenzio, la signora Teresa. Una scelta che sarà stata dolorosa per la mamma del povero Andrea, “il ragazzo dai pantaloni rosa”, come lo ha ribattezzato la stampa con superficialità. Ma spezzando il silenzio, la donna ha distrutto l’ipocrisia che aveva circondato il suicidio di suo figlio, raccontando dettagliatamente l’inferno in cui viveva: scritte sui muri (“Non vi fidate del frocio”), insulti sconci, furto della password di Facebook, persecuzioni virtuali, danni ai suoi oggetti personali.
Io non piango mai per carattere, ma quelle parole mi hanno spezzato il cuore. Questa storia ha riaperto vecchie ferite. Fantasmi sono tornati da un passato che credevo chiuso per sempre. Incubi di un’adolescenza che è stata tutt’altro che spensierata e felice. Non posso paragonare la mia esperienza con quella di Andrea, perché sono stato decisamente più fortunato di lui, ma so bene cosa significhi essere emarginati. So bene, cosa significhi scontrarsi contro l’indifferenza e l’ostilità di un’intera classe, stare nel banco o sul pullman della gita da soli perché, nessuno vuole dividere il posto con te. Essere guardati con commiserazione dai professori che fanno poco o nulla contro questi fenomeni. Scegliere i propri vestiti, ogni mattina, con l’ossessione che verrai deriso, qualunque cosa indosserai.
Sono passati tanti anni e quelle esperienze sono lontane. Non voglio pietà e solidarietà tardive, perché non saprei che farmene. Ma vorrei fare qualcosa, per quelli che stanno vivendo gli anni della scuola come li ho vissuti io. Non voglio che il sacrificio di Andrea sia inutile. Non voglio vedere più l’ipocrisia di questi giorni: presidi e docenti che si affrettano a smentire la discrminazione che conoscevano benissimo, studenti che usano raffinate torture ma poi fanno i moderni davanti alla parlamentare lesbica, la faccia di un ragazzo che nessuno ha difeso, usata poi come icona su Facebook; ascoltare l’assurdità di chi definisce “autoironia” una foto umiliante ritoccata con Paint. Non voglio più sentire questo magone che mi da’ questo sgradito salto all’indietro.
Tanti ragazzi vivono la scuola come l’ho vissuta io. Il bullismo è una piaga che, temo, non scomparirà mai. Partendo, perciò, dalla mia esperienza personale il primo consiglio che voglio dare a questi miei fratelli minori è che per quanto vi sentiate inghiottiti dalla solitudine, ricordatevi che non siete i primi e non sarete neanche gli ultimi. Non siete nemmeno gli unici, guardatevi intorno: il mondo è pieno di esclusi, la loro “perfezione” appartiene a pochi. Qualcuno con cui dividere la propria emarginazione si trova sempre ed è molto utile per sopravvivere. “Soli invisibili, uniti invicibili” è un saggio slogan delle manifestazioni studentesche degli ultimi anni.
Il secondo è coltivate un talento. La musica, l’arte, la letteratura, il fumetto, il writing, uno sport, un hobby. Non importa quale e non pensate ai risultati, ma fatelo. Sono un ottimo rifugio, uno sfogo eccellente per lo stress e la sensibilità, un toccasana anche per la vostra autostima sotto pressione. Io mi rifugiavo nella fantasia e scrivevo storie impubblicabili ambientate in mondi lontani, di ragazzini che fuggivano dalla mediocrità. Ma quelle storie, indirettamente, mi hanno salvato.
Il terzo è resistete, resistete, resistete. La vita è tutta un resistere contro le avversità. Ma non esagerate con la resistenza! Se siete arrivati al punto di rottura, se non ce la fate più, se ogni giorno alzarvi dal letto diventa un incubo, andatevene. Cambite classe, scuola, ambiente, aria. Non è facile, è complicato trovare il coraggio di farlo. I vostri professori vi diranno di non farlo. I vostri genitori difficilmente vi capiranno (per madri e padri, un figlio non integrato è una delusione, e voi non volete deludere i vostri genitori). Ma insistete, ne va della vostra serenità. La forza interiore che vi ha permesso di resistere, vi permetterà anche di lottare. Anzi capirete da subito una dura lezione: spesso dovrete combattere da soli, neanche la vostra famiglia sarà dalla vostra parte.
Il quarto è evitate ad ogni costo di piacere ai vostri persecutori. Voi a loro non piacerete mai, siete parte integrante del reparto “razza inferiore” e lì resterete per sempre. E poi guardateli, guardate i loro capelli tutti uguali, i loro vestiti tutti uguali, le loro passioni tutte uguali. Vale la pena svendere la vostra dignità, rinunciare a ciò che siete per inseguire un apprezzamento che (statene certi) non arriverà mai?
Il quinto sembrerà un po’ banale: non disprezzatevi, ma siate orgogliosi della vostra diversità, della vostra unicità rispetto alla loro omologazione. Viviamo in un’epoca bastarda, dove la moda del nerd ha massificato la diversità e ora tutti si dichiarano “diversi”, ma voi siete diversi per davvero! Avete sulla vostra pelle, il marchio del diverso. Oggi questo marchio è un peso, ma domani, quando la vostra adolescenza diventerà finalmente solo un ricordo, quel marchio lo esiberete con orgoglio.