“Per più di 30 anni Marsiglia è rimasta immobile, poi come con un fuoco d’artificio, nell’arco di dieci anni tutto è cambiato. Dalla viabilità agli ospedali, dai musei alle residenze, agli uffici. Marsiglia ha cercato di riscattare la sua condizione di città povera e pericolosa lavorando sul territorio”. A raccontare l’evoluzione della sua città nella quale lavora ed ha realizzato diverse opere è l’architetto marsigliese Roland Carta.
Marsiglia, “Capitale della Cultura” nel 2013, dimostra quanto la programmazione sia requisito imprescindibile per ri-conquistare le città. Per fare ordine tra i “pieni” e i “vuoti”. Lavorando sulle infrastrutture. Ma non solo.
Il progetto di riqualificazione Euroméditerranée è iniziato nel 1995 e riguardava un’area di 310 ettari. Ai quali nel 2007 è stato aggiunto un ampliamento di altri 180 ettari, destinato a negozi e edifici produttivi. Cinque le aree di intervento. Il waterfront e l’area di rappresentanza del progetto Cité de la Méditerranée. Il nuovo centro direzionale e residenziale Joliette. Il polo Culturale della Belle de Mai, realizzato attraverso la conversione di edifici industriali preesistenti in strutture di produzione culturale e mediatica. Saint Charles, che ospita la stazione ferroviaria e il suo intorno. Rue de la Républic, la via centrale che connette Place de la Joliette con il porto antico e la Canabiére.
Il progetto sul quale Marsiglia ha deciso di investire, quello della rigenerazione urbana. Come Barcellona, Bilbao e Amburgo. Un progetto incardinato sullo spostamento dell’antico porto e la riqualificazione delle aree affacciate sull’acqua.
La gestione operativa del progetto, affidata ad un’agenzia pubblica di sviluppo, istituita nel 1995 l’Etablissement Public d’Aménagement d’Euroméditerranée. Ma nel prosieguo delle operazioni si è andato estendendo il ruolo dei privati. Come la società marittima CMA CGM che ha affidato il progetto della sua sede all’architetto Zaha Hadid. Oppure come Constructa Urban Systems che con JPM Morgan sta gestendo la trasformazione dei Doks firmati da 5+1AA.
Grandi sforzi sono stati impegnati per gli spazi pubblici del vecchio porto. Al contempo lavorando a due nuovi musei affacciati sull’acqua, il Mucem di Rudy Ricciotti e Roland Carta e la Città del Mediterraneo di Stefano Boeri.
“Nuovo” e “vecchio” si armonizzano tra loro. Tuttavia è proprio il progetto di rigenerazione del patrimonio industriale a segnalarsi per la sua articolazione. Dai Docks di 5+1AA al Silo quai d’Arenc di Carta e Castaldi. Quest’ultimo un caso paradigmatico della volontà da parte dell’amministrazione di Marsiglia di non continuare a lasciare alla deriva spazi importanti. Il Arenc silos è un silos per il grano costruito tra il 1924 e il 1927. Già utilizzato in precedenza, negli anni ’80, ma destinato alla demolizione. Finalmente registrato patrimonio industriale del XX secolo. Costruito su palafitte, questo imponente edificio in cemento armato di oltre 130 metri di lunghezza è stato trasformato in uffici, un grande auditorium per la musica, spazi per mostre temporanee e un ristorante panoramico. Un progetto che richiama in parte quello degli olandesi Mvrdv che a Copenhagen hanno recuperato due silos del grano. Trasformando la struttura inutilizzata in un edificio, privato, residenziale.
La rigenerazione proposta da Carta un riferimento importante in tema di riconversione del patrimonio industriale e di waterfront. La posizione periferica della struttura, tra l’autostrada e il porto, un elemento che non penalizza le sue potenzialità. La sfida di riutilizzare l’esistente per l’auditorium, vinta a pieni voti. Senza alterare forme e proporzioni del silos, raggiunti gli scopi prefissi. Rispondendo in pieno alle richieste (in primis l’acustica) di uno spazio così particolare.
L’integrazione tra nuovi e vecchi materiali, il riutilizzo dosato di spazi preordinati, le peculiarità del Silos di Carta.
A Marsiglia si è scelto di intervenire su larga scala. Rifuggendo dalla politica degli interventi isolati. D’impatto ma funzionalmente inefficaci. A Marsiglia si è preferito percorrere una strada lunga. Ma che può portarla lontano.