Il noto Professore di Relazioni internazionali Stephen M. Walt il 7 novembre, mentre sul Mekong si teneva la cerimonia inaugurale per la costruzione della mega diga di Xayaburi, ha pubblicato un post su Foreign Policy che con un perfetto stile da tabloid titolava “Perché non minacciamo una guerra preventiva contro il Laos?” ricordando in modo provocatorio ai distratti americani che pensano solo all’atomica iraniana che la diga di Xayaburi, la prima sul basso Mekong, rappresenta una minaccia ben maggiore. Forse dimentico del fatto che tra il 1965 ed il 1973 sul Laos siano state riversate più bombe che su Germania e Giappone nel corso della Seconda guerra mondiale, forse dimentico dei traffici di droga operati dalla CIA in quegli anni, il Professore conclude con una provocazione quantomeno sfortunata: “perché gli Stati Uniti non stanno minacciando di bombardare il cantiere se il governo non ferma i lavori?”.
Eppure la questione è molto più complessa, come dimostrato dai due giorni di intensi dibattiti del Second Mekong Forum on Water, Food and Energy, cui hanno partecipato oltre 200 persone tra policy makers, rappresentanti delle imprese, delle ONG e soprattutto del mondo accademico. Gli scorsi 13 e 14 novembre il Mekong è stato, infatti, assoluto protagonista all’interno delle ampie sale del Melia Hotel situato nel centro di Hanoi, a pochi minuti dalla Città Vecchia. Si, il Mekong, un fiume. Un fiume che dalla sorgente a 5224 metri nell’Altipiano del Tibet scorre in direzione sud-est per 4350 km portando con sé 475 miliardi di metri cubi di oro blu all’anno. Un fiume vitale per l’economia dei sei stati che bagna, ma in parte anche linea di confine naturale fra essi. Un fiume che ha le potenzialità per garantire enormi quantità di energia idroelettrica, ma che, ad eccezione delle dighe già costruite in Cina, ha visto naufragare i progetti in tal senso prima per le guerre che hanno afflitto la regione e poi a causa della crisi economica del ’97. Ora in una nuova era di pace e stabilità il Mekong si trova al centro del dibattito.
Certo, il futuro è per definizione imprevedibile, ma aggiungendo un punto interrogativo al titolo dell’ottimo libro di Milton Osborne giungiamo subito al cuore del problema. Il futuro del Mekong sarà segnato dalla cooperazione tra i sei stati rivieraschi o da nuovi conflitti? L’impressione avuta ascoltando gli oltre 30 esperti provenienti dai sei paesi, ma anche da Australia, Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Sri Lanka, Filippine e Finlandia, sembra che ad oggi un approccio costruttivo e cooperativo sia prevalente. “Non capita spesso di avere nella stessa sala lo sviluppatore cinese HydroLancang ed International Rivers” ci tiene a sottolineare l’organizzatore dell’evento Kim Geheb, Mekong Basin Leader del Challenge Program on Water and Food (CPWF), e proprio la differente estrazione dei relatori ha dato la possibilità di avere una veduta a 360°.
Sul piatto della bilancia, del resto, ci sono innumerevoli questioni, spesso controverse. Le future policies dovranno essere guidate dalla stella polare dello sviluppo (come suggerito da World Bank, Asian Development Bank, ma anche dai Millenium Development Goals) e quindi dalla necessità di produrre sempre più energia – sempre che non arrivino i bombardieri americani – per soddisfare una domanda in crescita esponenziale? L’energia idroelettrica è davvero eco-friendly o il rischio di deforestazione suggerisce di puntare su altre fonti? Le persone che vivono e dipendono dal fiume avranno assicurato un nuovo futuro o saranno dimenticate? Basteranno le costruzioni di nuove strade, i ricavi economici, i posti di lavoro a bilanciare i danni fisici economici e sociali subiti? Avranno, le comunità locali, voce in capitolo? La preoccupazione maggiore, tuttavia, è rappresentata dalla probabilità che la costruzione della diga di Xayaburi, fino a poco tempo fa osteggiata anche dagli stati a valle (Cambogia, ma soprattutto Vietnam) funga da apripista per le altre 11 dighe già pianificate (9 in Laos e 2 in Cambogia). Interrogativi troppo numerosi e complessi per rientrare in questo post, ma che saranno alla base del prosieguo del dibattito.
Tuttavia parallelamente al dibattito procedono anche i lavori nel cantiere di Xayaburi ed è un fatto che si sia trovato un accordo a livello intergovernativo, seppur al di fuori dei meccanismi della Mekong River Commission. Dao Trong Tu, Direttore della vietnamita CERAWEC (Centre for Sustainable Water Resources Development and Adaptation to Climate Change) quando gli domando come ha fatto il Laos ad ottenere il “via libera” sorride ed allarga le braccia. “Forse dieci anni di ulteriori studi erano troppi, ma procedere ora è troppo rischioso” mi spiega, ed aggiunge che secondo lui il governo vietnamita resta preoccupato.
In conclusione si può affermare che, nonostante i numerosi interrogativi irrisolti, il Forum abbia mostrato la necessità di una piattaforma regionale per affrontare una sfida comune carica di potenzialità così come di rischi. “Le dighe ci pongono di fronte a questioni complesse che è meglio affrontare in modo sistemico” sottolinea Terry Clayton, CPWF Communications Coordinator, e conclude: “le dighe porteranno a grandi cambiamenti e solo se lavoriamo insieme possiamo ridurre al minimo i conflitti e gli impatti negativi che seguono ogni cambiamento”