Di recente ha fatto rumore la rappresaglia di Marchionne nei confronti di 19 lavoratori.
Se altri 19 lavoratori erano stati ingiustamente discriminati;
se il tribunale aveva giustamente cercato di sanare un torto;
se il padrone cattivo (sempre lui?) ha cercato di calpestare i diritti dei lavoratori, allora è giusto e sacrosanto che il caso dei 19 abbia fatto rumore.
Potremmo chiederci se veramente discriminazione c’era stata (difficile sostenere il contrario), ma soprattutto se di discriminazione ingiusta si era trattato.
Poiché non tutte le discriminazioni (anche se in italiano l’accezione è il più delle volte negativa) sono ingiuste. Anche scegliere il candidato più idoneo, capace, il più preparato e quello che ha i requisiti che meglio si prestano per una mansione (anche attitudini peronali, caratteriali, capacità di interazione coi colleghi etc) è una forma di discriminazione. E’ ingiusto? Se in fase di selezione è comunemente accettato che si facciano di queste discriminazioni, che dire della fase successiva? E’ giusto scegliere un nuovo lavoratore per una vecchia mansione, perché più capace, più adatto, meno costoso, anche quando quel posto era già occupato? Si tratta di discriminazione ingiusta?
Sarebbero domande interessanti, ma questo post è dedicato a quelli che non fanno rumore.
Perché i lavoratori del Sulcis fanno rumore. Quelli di Pomigliano, Termini Imerese, dell’Alitalia dell’Ilva e tanti altri. Tutti questi, a torto o a ragione, fanno rumore. Ma, ce ne sono altri che non fanno rumore.
Quando chiude una società di 15 dipendenti non c’è mai un politico che fa dichiarazioni in televisione. Quando licenziano un lavoratore solo, o anche solo quattro o cinque, perché non c’erano più le condizioni per mantenerli. Quando questi accettano il licenziamento e si rimboccano le maniche per trovare qualcos’altro e, se occorre, fanno le valige o cambiano mestiere, in quel caso, beh in quel caso si tratta di lavoratori silenziosi. Sarebbe controfattuale chiedersi se quei posti di lavoro si sono persi per demeriti e incapacità individuali, oppure per il progressivo deterioramento delle condizioni minime ambientali necessarie per fare impresa, perchè per chi si fosse perso questo dettaglio, per mantenere l’occupazione fare impresa deve essere conveniente (non solo in assoluto, ma anche in termini relativi rispetto a trasferirsi altrove cosa nota i sindacati tedeschi, meno a quelli italiani). D’altronde, chi si fa di queste domande nel caso dei lavoratori che fanno rumore?
Se rimaniamo nel contro-fattuale potremmo chiederci quanti lavoratori non hanno trovato e non troveranno mai un lavoro a causa di un sistema che protegge le imprese (incapaci, moribonde e talvolta morte) invece delle persone. Un sistema che in casi estremi arriva difendere, non solo il demerito e l’incapacità, ma talvolta anche la colpa, in nome un garantismo tanto eccessivo quanto elitario (tutto per i pochi che sono dentro e nulla per chi è rimasto fuori). Un sistema dove la miopia dei sindacati e una visione anacronistica del mantenimento dell’occupazione, nell’illusione di tutelare i posti di lavoro di oggi, mina le basi di quelli che sarà possibile creare domani.
I lavoratori silenziosi non sono schiavi consenzienti, né derelitti disposti a tutto, incluso il cedere i propri diritti pur di lavorare. Sono quelli che hanno sperimentato sulla propria pelle che, fuori dalla portata della longa manus distorsiva dell’intervento statale, o le imprese mantengono solo i lavoratori che servono oppure semplicemente chiudono (o falliscono a seconda dei casi). E quanti e quali lavoratori servono non lo decide il sindacato, un giudice, il partito o la pianificazione di un superministro. I lavoratori silenziosi votano con i piedi, cambiando lavoro, mestiere, talvolta vita e paese, quando le circostanze lo richiedono. Non si incatenano a un monumento neanche quando sono disperati, ma non si permettono di giudicare chi lo fa.
I lavoratori silenziosi sono molto spesso precari e in tutto o in parte vivono nel sommerso. Non lo fanno per scelta, ma sempre e solo per necessità. Qualcuno si sente sfruttato, qualcun altro se ne fa una ragione, ma sono tutti accomunati dalla scelta di tirare dritto per la propria strada, senza clamore.
Con questo pezzo non intendo dare torto o ragione a qualcuno, né tanto meno semplificare o banalizzare realtà complesse. Volevo solo per qualche istante rompere il silenzio che circonda questi figli di un dio minore, quelli che pagano con la flessibilità le tutele altrui di cui non godono e con le proprie tasse i sussidi che tengono invita le aziende che non li assumeranno mai.