Leggere il mondo2012, il meglio della tv italiana

Qualche giorno fa, per abbassare il tono delle polemiche che stanno travolgendo il proprio network, il presidente del trust che controlla la BBC, Chris Patten, ha usato come termine di paragone neg...

Qualche giorno fa, per abbassare il tono delle polemiche che stanno travolgendo il proprio network, il presidente del trust che controlla la BBC, Chris Patten, ha usato come termine di paragone negativo anche, e soprattutto, la televisione italiana. E, mettendo da parte la sana rivalsa nazionalistica, non è proprio che sussistano argomenti adeguati per ribattere: anche i critici casalinghi rappresentano il nostro modo di fare televisione con tinte sempre più fosche e, allo stesso tempo, bisogna ammettere che, nonostante gli scandali da cui è stata travolta, la BBC rimane un modello per tutto il sistema mediatico mondiale.

Nell’ultimo periodo, sono usciti diversi libri che analizzano lo stato dell’informazione e della comunicazione televisiva italiana, provando, in alcuni casi, a suggerire delle direzioni di cambiamento. Mariano Sabatini, uno dei critici televisivi emergenti, collaboratore fisso del free press Metro, del portale di Tiscali e della trasmissione Rai “Talk Show”, non salva quasi nulla, a dispetto del titolo di copertina, nel suo “E’ la TV Bellezza” (Lupetti editore), pur rimarcando le grandi potenzialità del medium televisivo. Nei commenti pubblicati quotidianamente sulla rubrica di Tiscali e che il libro raccoglie sino ad agosto 2012, non si risparmiano frecciate al veleno per i vari Maurizio Costanzo, Maria De Filippi, Paola Perego, Alfonso Signorini, Barbara D’Urso, Fabrizio Corona e Bonolis, si rimpiangono figure come quella di Luciano Rispolli, mentre si esaltano l’ineguagliabile professionalità e competenza di Piero Angela, la versatilità di Fiorello, l’analisi pungente del giornalista Travaglio, l’orazione della “premiata coppia” Fazio-Saviano, la verve di Roberto Benigni, oltre ad alcuni come programmi come quelli “impegnati” di Rai 3 e “Gli Intoccabili” (purtroppo già smantellato) del giornalista d’inchiesta Gianluigi Nuzzi (su La7).

Anche Lorella Zanardo celebra Fiorello e, in particolare, le quattro puntate de “Il Più Grande Spettacolo Dopo il Weekend” che “non è mai scaduto nella volgarità ed ha sempre rispettato l’immagine della donna”. Lorella Zanardo è, infatti, coautrice del documentario “Il Corpo delle Donne”, visto da 4 milioni di persone online, e dell’omonimo libro edito da Feltrinelli, che denunciano la quotidiana umiliazione del corpo femminile da parte dei mass media: “Nel suo spettacolo, Fiorello ha invitato la nazionale di pallavolo femminile campione del mondo e, a differenza di ciò che fa e avrebbe fatto la maggior parte degli autori televisivi, non ha indugiato sulle (gradevoli) fattezze fisiche delle atlete, ma le ha esaltate per i loro meriti, che derivano dalla loro attività, cioè dai successi ottenuti sul campo…” argomenta la Zanardo. Che, sebbene denunci la bassa qualità della programmazione televisiva nostrana, anche nel suo ultimo libro “Senza Chiedere il Permesso” (sempre edito da Feltrinelli), non invita a spegnere la tv, ma ad impegnarsi, come negli altri paesi, ad una “educazione ai media” allo scopo di migliorare le capacità critiche di ogni tipo di pubblico. “La sfida, infatti, non è quella di produrre altri programmi di nicchia come “Report” e “Nautilus” (in onda su Rai Scuola), che hanno tutta la mia ammirazione, bensì cominciare a diffondere contenuti destinati al grande pubblico, anche “leggeri”, con una marcata impronta divulgativa” conclude Lorella Zanardo.

In sintonia con Sabatini è l’altro critico Massimiliano Panarari – autore di “Egemonia Sottoculturale” (Einaudi 2011) in cui constata come si siano definitivamente avverate le profezie situazioniste con programmi come quelli di Antonio Ricci (ancora un modello per Beppe Grillo) – che, in particolare, apprezza “diversi momenti di “Che Tempo Che Fa” (specie quelli in cui è presente Massimo Gramellini)”. E “spazi informativi e di approfondimento giornalistico come “Agorà” e “Ballarò” (Raitre), il Tg de La7 e, sempre su La7, “Omnibus”, “L’Aria che Tira” di Myrta Merlino, “Piazza Pulita” (ma anche varie puntate di “Otto e Mezzo” e “In Onda”) e “Atlantide” ”. Uno dei suoi canali preferiti è sicuramente Rai 3 dove cerca di seguire tutte le puntate di “Buongiorno Elisir” di Michele Mirabella, di “Geo” e delle trasmissioni di libri di Corrado Augias. E definisce “perle situazioniste” “Blob” e “Fuori Orario”; mentre, su Rai 5, ama seguire “Passepartout” di Philippe Daverio.

Su una diversa lunghezza d’onda sono il professor Paolo Mottana (autore di “Piccolo Manuale di Controeducazione”, Mimesis 2012) ed il giornalista del Corriere Alessandro Trocino insofferenti nei confronti di quei personaggi che si “parlano addosso”, vestono i panni di “moralizzatori” e-o conducono “battaglie gia vinte in partenza” per raccogliere il massimo consenso popolare, tipo quella anti-berlusconiana (esempi? Massimo Gramellini, Beppe Servegnini, Fabio Fazio). Trocino è autore, per Fazi, dell’illuminante “Popstar della Cultura” in cui demolisce proprio l’autoreferenzialità di personaggi alla Fazio ed alla Saviano “incapaci di offrire null’altro che prediche paternalistiche che non aiutano certo a sviscerare la complessità della realtà e non offrono stimoli intellettuali al pubblico”. Analoga motivazione con cui Trocino liquida pure la maggior parte dei talk show contemporanei identificati come “contenitori di personalismi che puntano prevalentemente alla pancia ed alla emozionalità, emarginando così l’approfondimento attraverso l’utilizzo degli strumenti della razionalità”. Neanche il nuovo “paladino dell’informazione” Marco Travaglio si salva “seppur grandissimo professionista, specialmente per la capacità di riordinare e rielaborare montagne di dati di ogni tipo e coprire così le lacune della maggior parte dei giornalisti che hanno la “memoria corta”, ma che palesa una visione manichea dei fatti della vita, incapace di coglierne i chiaroscuri tanto da ricorrere, con troppa frequenza, a formule “grillesche” che finiscono col mirare più al compiacimento dello spettatore che ad una informazione equilibrata ed equidistante”. Ma cosa salva allora Trocino della televisione? “Sebbene non sia mai stato un suo fan, devo ammettere che la Gruber, con il suo “Otto e Mezzo”, fa un buon lavoro riuscendo a trovare un giusto equilibrio nella mediazione fra espressione del proprio punto di vista, smanie propagandistiche degli ospiti politici e dovere di informazione imparziale nei confronti del telespettatore. Poi, anche a me piacciono programmi che puntano all’approfondimento puro come “Report” sebbene rischino costantemente – dato che trattano materie complesse la cui esplorazione esaustiva richiederebbe molto tempo – di compiere errori marchiani.” “Purtroppo – continua Trocino – “Report” rimane sempre più un caso isolato, e comincio a rimpiangere i tempi di trasmissioni come “La Notte della Repubblica” in cui Sergio Zavoli, sebbene si sapesse da che parte stava, era in grado di “affrontare” e stabilire un legame con qualsiasi personaggio, anche il più ambiguo o il più ostico.” Trocino ha dei “preferiti”, comunque, fra gli autori contemporanei: oltre agli inventori della serie “Boris”, è un estimatore del teatro civile di Marco Paolini, e dei programmi Rai, fra arte e cultura, di Philippe Daverio, già menzionato da Panarari. Rispetto a quest’ultimo e a Sabatini, è un po’ rassegnato riguardo al futuro della televisione, tanto da guardare con maggiore attenzione agli sviluppi di altri piattaforme come Youtube grazie alla quale non si perde una puntata di “The Pills” che alcuni hanno definito una “webseries alla Jim Jarmush”.

Se dovesse produrre una “seconda puntata” di “Popstar della Cultura”, Trocino ammette senza riserve che la principale “new entry” sarebbe Fabio Volo.

Ma c’è davvero così poco da salvare della nostra televisione? Bè, bisogna dire che l’avvento del digitale, e la conseguente moltiplicazione dei canali, qualche miglioramento l’ha portato. Adesso ci sono più spazi e più occasioni (anche in termini di passaggi orari) per diffondere e promuovere contenuti di qualità: oltre ai programmi (anche del passato) proposti da canali come RaiStoria (“La Storia Siamo Noi”) e Rai 5, si possono seguire, in fasce orarie meno problematiche, le repliche dei servizi e delle inchieste di “Quark”, Rai News, “Crash”, “TG2 Dossier”, “C’era Una Volta”, “Speciale TG1” e i documentari di “DOC3” (c’è pure “La7Doc”) , mentre continuano ad aumentare, e a diventare sempre più competitivi rispetto a quelli delle piattaforme a pagamento, i canali documentaristici in stile “Focus”. Anche “DMAG”, di Discovery Network, sta cercando di orientare la propria offerta su contenuti più impegnati. Da questa punto di vista, rimane povera l’offerta delle reti berlusconiane, almeno quelle “free”, che, a parte trasmissioni come “Terra!” o quelle che importano i documentari naturalistici e paesaggisti delle televisioni estere, preferiscono ancora puntare sull’ “infotaintment spinto” in stile “Striscia la Notizia” o “Le Iene”. Più apprezzabili, forse, gli sforzi di LA7 che, alcune volte, ha promosso del buon cinema d’autore in prima serata.

Valeria Coiante, infine, oltre al suo bellissimo “Crash” (sui temi dell’immigrazione ed integrazione), “salva” tutta la squadra “santoriana” e, cioè, “Servizio Pubblico” dello stesso Santoro e “Piazza Pulita” dell’ “allievo” Corrado Formigli per La7, “Presadiretta” del bravo Riccardo Iacona per la Rai (Rai 3). Ma la Coiante ha anche qualcosa un pochino più elitario da promuovere: “da sempre ho la passione per la scrittura, quindi per la nostra lingua, che amo e che detesto veder strapazzata. Infatti, uno degli aspetti che più mi piace del mio lavoro è scrivere i testi che poi espongo in studio. Su Rai Storia è andata in onda, la scorsa stagione, una serie dal titolo “Koinè“. Si trattava di un bellissimo programma sulla lingua italiana trattata in maniera non convenzionale, quindi non cattedratico, mai noioso”.

Ad Alessia Barbiero, critica televisiva di Sky e de Linkiesta, autrice del libro “Settimo Potere. Come le serie TV influenzano la vita sociale e politica” abbiamo chiesto di indicarci dei titoli di telefilm, trasmessi sul digitale free, meritevoli per “spessore di contenuti”, sebbene la stessa tenga a precisare che “in termini di serialità televisiva (e soprattutto di trattamento del cliente) il meglio dell’offerta arriva ancora da Sky e dai pacchetti “premium” di Mediaset. I canali free hanno una programmazione spesso ballerina (e gli spostamenti recenti di “Dallas” e “Once Upon a Time” lo dimostrano).”. Per la Barbiero sono, comunque, “assolutamente da seguire” serie come “Girls”(in onda su Mtv) scritto ed interpretato da Lena Dunham, “The Good Wife”(Rai 2), del genere “legal-thriller”, che considera una delle migliori degli ultimi anni, “Downton Abbey”(Rete 4) e il già celebratissimo “Mad Men” (anche se va detto che sulla Rai è trasmesso con parecchio ritardo rispetto agli U.S.A.) sul fronte del “period drama”, e lo stesso “Once Upon A Time” (in anteprima su Sky, ma ora trasmesso anche dalla Rai) che, “seppur non sia da considerarsi una serie “d’impegno” risponde al bisogno di riscoprire la tradizione in un periodo di grande crisi economica, politica e identitaria quale è quello che stiamo vivendo”. La serie, infatti, è liberamente ispirata a leggende e ai racconti classici della letteratura fantasy, segnatamente delle fiabe, ma impostati al giorno d’oggi. “Girls” segue, invece, le vicende di quattro amiche, poco più che ventenni, che tentano di rifarsi una vita dopo essersi trasferite a New York, mentre “Downton Abbey” arriva dalla Gran Bretagna ed ambientata, in costume, durante la fine dell’età edoardiana, dopo la morte di Edoardo VII, nella tenuta fittizia di Downton Abbey, appunto, nello Yorkshire. Per “Mad Men”, infine, si sono già spese molte lode, sebbene sia una serie adatta solo ad alcuni “palati”; ideata da Matthew Weiner, e in onda dal 2007 negli States, utilizza il mondo pubblicitario di New York degli anni ’60 come specchio per raccontare i cambiamenti cruciali avvenuti nella società americana durante il decennio.

Per Alessia Barbiero, come cerca di dimostrare nel suo ultimo libro, la serialità televisiva ha acquisito grande importanza e grande potere: “non deve essere più considerata un genere di “serie B”, dato che nasconde, nella sua struttura, il potere di condizionare, influenzare le opinioni e, di conseguenza, le scelte di un elettorato politico, ed è in grado di farlo esattamente come la stampa quotidiana. In America è ormai un fatto assodato: le serie TV sono il settimo potere”! Per la Barbiero, infatti, “a differenza dei media informativi classici, le serie televisive raccontano e descrivono la contemporaneità, propongono ideali politici e opinioni, facendoli passare in modo velato, non esplicito. E proprio per questo più efficace. Immedesimandoci nei personaggi che animano il mondo fittizio che amiamo guardare, finiamo per condividere le loro scelte, per appoggiare i loro comportamenti, per riconoscerci in principi sociali, economici, militari e politici.”. Anche senza addentrarci nelle analisi sociologiche, se non psicologiche, proposte dalla Barbiero, indubbiamente le serie TV, almeno per il subcontinente americano, si sono investite di una funzione sempre più preponderante nel raccontare il paese e scrutarne la struttura sociale, rimarcandone i vizi e le virtù, guardando con la lente di ingrandimento nei meandri di una delle nazioni più potenti del mondo. E in “Settimo Potere” ritroviamo molte serie in grado di esplorare in profondità le dinamiche e le problematiche della società americana rapportabili, seppur in toni e gradi differenti, alla nostra che è stata influenzata profondamente dalla “american way life” sin dal secondo dopoguerra, come testificato proprio dalla poderosa importazione di film e telefilm hollywoodiani.

Osannata dai critici di tutto il mondo, da alcuni considerata la migliore di tutti i tempi, è la serie “The Wire” “che, solo apparentemente mascherata da crime, racconta, in realtà, le città americane e la difficile convivenza delle persone, siano esse, poliziotti, scaricatori di porto, spacciatori, politici, giudici o avvocati” spiega perfettamente la Barbiero. Da poco debuttante in chiaro su Rete 4, “The Wire” è anche fra le preferite del presidente Obama “affascinato dalle capacità di offrire un’analisi dettagliata, cruda, realistica, a tratti volgare, della società americana”. Barbiero suggerisce che “elogiando questa serie, almeno indirettamente, Obama ha lodato la televisione e l’intero sistema mediatico statunitense che, per la prima volta, è riuscito a portare a termine una sfida politica e sociale non da poco: quella di raccontare il tortuoso e complesso sistema che gestisce il traffico della droga in alcuni ghetti americani.”.

Certo, come suggerisce la professoressa Margherita Acierno nel suo ultimo libro “A Tutta Tv! Nuovi modi di guardare la televisione ai tempi di internet” (Lupetti, 2012), non ci si dovrebbe più limitare a discutere di “televisione”, almeno “in senso tradizionale”. Anche il web, oramai, “fa televisione” e, d’ora in poi, bisogna cominciare ad inglobare nelle attività di analisi e critica giornalistica tutte le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie connettive in riferimento alla trasmissione di contenuti multimediali sia di informazione che di intrattenimento…

di Gaetano Farina

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