Sullo sfondo di una desolata e malinconica spiagga d’inverno, un ragazzo perde la testa e uccide suo padre. E’ una notizia. Settore cronaca. Una storia destinata a finire sui giornali, sui titoli del tg, sulle colonne di blog e siti on-line, fra un panettone e un pandoro, visto che tutto succede pochi giorni prima di Natale.
E’ una brutta storia come tante altre, destinata a finire in ritagli sempre più piccoli, salvo clamorosi, ma al momento non previsti, colpi di scena. Ma è una notizia e sembra scontato che la stampa, il cui compito è dare le notizie, ne parli.
Questa storia si distingue, però, da altri casi simili nella reazione alla notizia. Una reazione, per certi aspetti, inedita, inaspettata, particolare. Che, forse, segna una svolta nel legame fra gli Italiani e la cronaca.
Infatti, man mano che emergono maggiori dettagli, che saltano fuori i nomi delle persone coinvolte e spuntano anche le loro foto, man mano che la notizia si delinea in tutti i suoi dettagli, una piccola ma rumorosa folla inizia ad occupare militarmente ogni spazio su Internet. Sono amici e parenti delle persone coinvolte e iniziano a pretendere il silenzio. Minacciano, sbuffano, insultano, usano anche il dialetto per essere più convincenti. “Che bisogno avete di parlare di queste cose? Fatevi i cazzi vostri”. Rari i commenti educati, i toni sono accesi e violenti. Solo una ragazza implora senza parolacce: “Per favore, non giudicatelo.”
Non si contesta il “come” è stata data la notizia, il modo in cui il fatto è arrivato a conoscenza di tutti. Non si cerca di evitare gli eccessi di una nuova Avetrana e l’orrore mediatico che ne è seguito. Non si tenta neanche di difendere l’impossibile, sarebbe troppo facile. L’impressione, leggendo i commenti, è che si contesti il fatto stesso che la notizia sia stata data. Si pretende il silenzio, si pretende che i giornali non si occupino di quello che accaduto. Nessuno deve sapere del loro amico/parente finito nei guai.
Una reazione inedita, se si pensa che fino a poco tempo, si cercava al contrario la complicità dei giornalisti. Gli indagati facevano il giro delle televisioni e dei giornali, rilasciavano interviste, piangevano in diretta. Interviste che spesso si ritorcevano loro contro perché, spesso, quelle dichiarazioni rilasciate senza pensarci troppo, si trasformavano in prove a favore dell’accusa. Tutto ora si ribalta. Non solo l’indagato e i suoi fan si tengono lontani dalla stampa, ma al contrario si ribellano ad essa.
Possono i giornali non-parlare di un omicidio? Un omicidio è una notizia; dunque è scontato che la stampa, il cui compito appunto è dare le notizie, ne parli. Un omicidio, allora, non è più una notizia? Non è più “un fatto degno dell’interesse generale” come predica il vocabolario? La cronaca nera, dopo Avetrana, non ha più senso? O c’è dell’altro dietro quelle richieste?
Gli articoli di cronaca nera sono sempre saldamente in testa alle classifiche dei “più letti”. Certe storie, per ragioni psicologiche e sociologiche già ampiamente studiate, sono un argomento di interesse e di conversazione frequente. La gente ha bisogno di conoscere il peggio che capita. Un mix di morbosità, paura, curosità, passione, il bisogno umano di capire, comprendere, riflettere e quindi assorbire quello che succede.
Chi ha richiesto il silenzio sulla tragedia che ha travolto un conoscente, sarebbe sceso ugualmente in pista per chiederlo su altre vicende che non lo riguardavano? Cosa c’è dietro, cosa si nasconde sotto quei commenti rabbiosi e violenti? Reazioni isteriche a qualcosa che non si riesce a comprendere, come la trasformazione di un amico/parente in un parricida? Uno sfogo alla tragica svolta di una storia? Terrore del giudizio della gente? O un tentativo bizzarro di condizionare il racconto dell’episodio, tentando di far schierare l’opinione pubblica dalla parte del ragazzo? O ancora, un malsano altruismo, un aiuto al loro amico, di proteggerlo disperatamente dal mondo mentre tutto gli crolla addosso? E’ un fenomeno isolato o i cronisti “neri” del futuro dovranno tener conto anche di questo, quando racconteranno le future disgrazie d’Italia? E quanti, in un settore che non brilla certo per autorevolezza e coraggio, avranno la forza di resistere, di seguire i doveri del giornalista, di servire solo la verità piuttosto che assecondare i desideri della massa?