“Noi non abbiamo paura della bomba atomica”, recitava una canzone del 1966 de I Giganti, che voleva esorcizzare un clima teso in tutto il mondo occidentale (almeno) causato dalla Guerra Fredda e dalla minaccia nucleare. Chi è nato “dopo” – diciamo nei tardi anni ’70 – non potrà avere la minima idea, se non per sentito dire, di ciò che è stato il rischio concreto e la sensazione di fine imminente che si respirava in quegli anni.
Più ancora che in Italia, ovviamente, negli Stati Uniti e in Inghilterra: “Ginger & Rosa” di Sally Potter, film di chiusura del Torino Film Festival 2012, è ambientato a Londra nel 1962, proprio nei giorni più bui di quel periodo, con la crisi della Baia dei Porci a Cuba, tensioni crescenti tra USA e URSS e costanti aggiornamenti via radio sul pericolo prossimo.
Come crescere in una simile realtà? Ginger, diciassettenne cresciuta in un ambiente pacifista e anarchico (il padre è andato in galera durante la seconda guerra mondiale per diserzione), subisce quasi senza accorgersene il trauma del “no future”, la sensazione costante che tutto sia inutile e che da un momento all’altro possa finire il mondo.
Per reazione, per cercare almeno in parte di sentirsi utile alla causa, decide prima di seguire qualche incontro di pacifisti per manifestare in strada, ma piano piano si convince che il semplice manifestare non può bastare, e allora passa dal Campaign for Nuclear Disarmament (CND) al Committee of 100 seguendo le idee di Bertrand Russel, che propugnava un necessario passaggio all’azione basata su disobbedienza civile e resistenza non violenta.
Il Committee of 100 rimase attivo fino al 1968, mentre il CND è ancora attivo.