Sull’agenda Monti hanno è stato già scritto in modo puntuale e come pure sulle alleanze che al momento si prospettano.
Un testo troppo vago sul come (tagli alla spesa?) raggiungere i pur condivisibili obbiettivi, colpevole di alcune notevoli omissioni (banche e sistema finanziario) e di qualche pericolosa tentazione (patrimoniale intelligente?) opportunamente edulcorata.
C’è tuttavia un aspetto a mio avviso trascurato: Mario Monti rappresenta la personificazione del fallimento della classe politica italiana.
Il fatto stesso che tanti esponenti della società civile sentano il bisogno di rivolgersi a questo nuovo padre della patria implica che la classe politica esistente, anche alla luce dell’esito delle primarie del PD che hanno premiato l’ala conservatrice del partito, è incapace di esprimere una leadership credibile.
Quando un’impresa fallisce, occorre nominare un curatore che provveda a dismettere in modo ordinato gli attivi per soddisfare per quanto possibile i creditori.
Significa che l’impresa non può più fare fronte da sola alle proprie obbligazioni, non solo in modo temporaneo (illiquidità), ma permanente (insolvenza).
All’Italia è successo qualcosa del genere quando Mario Monti è stato chiamato a salvare la patria. Non era tuttavia l’Italia ad essere fallita, ma la sua classe politica. Una classe politica incapace di governare quando si rendono opportune scelte impopolari, di uscire dalla logica perversa dell’acquisto del consenso di breve termine mediante aumento della spesa clientelare,di sciogliere i nodi delle necessarie riforme strutturali per consentire al paese di tornare a crescere.
Il curatore Monti ha svolto il suo ruolo nei limiti del possibile restituendo al paese la credibilità internazionale perduta e una certa tranquillità nei confronti delle pressioni dei mercati finanziari sul debito (in questo con l’indispensabile e fondamentale contributo della Banca Centrale Europea).
Restano tuttavia praticamente irrisolti i nodi riguardanti:
- la componente disfuzionale della pubblica amministrazione sia come eccessiva ingerenza dello stato nell’attività economica che come cattivo funzionamento di quelli che dovrebbero essere i servizi essenziali da esso garantiti; insomma quella parte che invece di aiutare i cittadini a vivere meglio e creare ricchezza costituisce un ostacolo e un peso alla crescita e al riconoscimento del merito individuale
- i meccanismi di selezione della classe politica e dirigente del paese e la possibilità per nuovi entranti di sostituire gli incombenti
- le regole perverse che distorcono gli incentivi favorendo alcune minoranze a danno del resto della collettività e lo scarso livello di concorrenza e liberalizzazione di molti settori
Oggi Monti con la sua agenda si candida a voler completare l’opera incompiuta alleandosi in partenza proprio con alcuni degli attori che hanno limitato l’azione del suo governo tecnico. C’è speranza che riesca nel suo intento, che riesca a resuscitare i morti, a trasformare gli artefici del declino in ferventi riformatori?
Molto difficile che gli riesca di far rivivere la fiducia ormai morta nella classe politica incombente, più probabile che chi l’ha perduta si astenga dal votare o scelga delle proposte che si pongano in netta rottura con il passato. Difficile anche che possa realizzare con la carota di un agenda in “tempo di pace economico-politica” quel che non ha potuto portare a casa col bastone dello spread in tempo di guerra.
L’Italia aveva bisogno del curatore Monti che ha servito bene il proprio paese. Probabilmente ha molto meno bisogno di un Monti restauratore, che parla di riforme in modo opportunamente vago e lacunoso e sceglie le alleanze di coloro che incarnano la regola del gattopardo ossia che tutto deve cambiare affinché nulla cambi veramente.
La necessità di convocare un curatore prima e un salvatore della patria poi è la più evidente conferma (ove non bastasse lo stato in cui versa il paese) del fallimento di una intera classe politica. Come elettori abbiamo l’opportunità di dimostrare che non si tratta di un fallimento anche nostro, che siamo in grado di comprendere la svolta radicale che è necessaria al nostro paese per ripartire e che solo persone e programmi nuovi possono realizzarlo.
In caso contrario al fallimento degli elettori non è improbabile che possa seguire quello del paese.