Perfino coloro che affermano di essere portatori di una rivelazione divina sono tenuti a dare risposte argomentate a chi pone domande serie. (P. T. Geach)
È trascorso qualche giorno dall’anatema papale contro le unioni gay. “Ferita alla pace”, ha commentato il Pontefice, almeno secondo quanto riportato da varie testate che, in clima di campagna elettorale, non si sono fatte sfuggire la ghiotta occasione. In Italia la questione sembra scottare più che altrove, mentre la foto di Papa Ratzinger in compagnia del presidente del parlamento ugandese (promotrice di una legge che prevede la pena di morte per gli omosessuali) impazza sui social network.
Ma che c’è di male se il Papa sostiene che le unioni fra individui del medesimo sesso sono deprecabili? Semplice opinione che offende alcuni e indigna/rassicura altri? O c’è dell’altro? Non mi sto chiedendo che cosa spinga una coppia omosessuale a volere qualcosa di simile al diritto di cui godono le coppie eterosessuali. Le ragioni sono, immagino, molteplici e il punto è un altro: c’è qualche ragione per la quale questa richiesta non dovrebbe essere ascoltata?
L’opinione della Chiesa cattolica sulle unioni di fatto non è frutto di fede e rivelazione. E pare che la Chiesa stessa sia pronta ad ammetterlo. Papa Ratzinger parla di “principi inscritti nella natura umana e riconoscibili con la ragione”, disponibili a tutta l’umanità, non solo ai credenti. Se fosse davvero così, chi la pensa diversamente sarebbe necessariamente in errore e non ci sarebbe spazio per il compromesso. Diamo per buona la sottile distinzione fra gli argomenti su cui il Papa si propone come arbitro infallibile (i dogmi della fede) e quelli su cui è disposto ad ammettere di possedere unicamente (si fa per dire) una specie di autorità morale. I primi pretendono di sottrarsi alla comprensione razionale. Le tesi papali si impongono come assiomi e metterli in discussione sarebbe tempo perso. Mettiamoli da parte. I secondi invece sono più interessanti. Qui il dibattito sembrerebbe aperto al confronto fra punti di vista divergenti. Se accantoniamo la rivelazione, quel che resta è la ragione. A questo punto, quel che dovrebbe suffragare o affondare una qualsiasi tesi (e le opinioni morali, soprattutto se hanno risvolti pratici, non dovrebbero fare eccezione) è il carattere delle argomentazioni portate in suo soccorso, non l’appello a una capacità di intuizione razionale che solo alcuni sembrerebbero possedere.
Sarebbe ingenuo chiudere la partita, concludendo sbrigativamente che le presunte argomentazioni sono in fondo come le armi di distruzioni di massa che Bush junior attribuiva a Saddam. Forse non ci sono, ma è più comodo se facciamo finta che ci siano. Il paragone non è qualitativo, ma metodico, s’intende. Proviamo ad ammettere che ci siano e vediamo se funzionano. Facendo una rapida rassegna, le tesi di solito più gettonate sono due:
1- Le unioni omosessuali sono contro natura.
2- Le unioni omosessuali minacciano la famiglia tradizionale
Stanno in piedi? Su che cosa si basano? Si sostengono a vicenda o si contraddicono?
Consideriamole una per volta:
1- A essere contro-natura non sarebbero soltanto le unioni, quanto l’omosessualità stessa. Ma è così? Per cercare di intuire quali fenomeni siano “contro natura”, possiamo provare a capire che cosa significhi essere “secondo natura”. Da un punto di vista fisico, tutti i fenomeni sono secondo natura, in quanto tutti sono derivati da cause più o meno identificabili. Come ci ricorda Spinoza, il principio di causa è perfettamente in grado di spiegare anche ciò che ci appare come strano o miracoloso, solo che spesso non lo sappiamo o ce ne dimentichiamo. La rivoluzione scientifica ha ridotto di molto il ventaglio delle presunte eccezioni. Nulla di ciò che accade è davvero contro-natura e le uniche eccezioni che vorremmo limitare sono i fenomeni che ci procurano fastidi, come le malattie fisiche e mentali. Tuttavia, la spiegazione dell’omosessualità come malattia non gode più di molto credito e, in ambito scientifico, si preferisce identificarla come una caratteristica psicologica. E se fosse davvero una malattia? Se anche fosse così, non si capisce per quale motivo le unioni omosessuali dovrebbero essere scoraggiate o proibite. Di solito nessuna legge vieta a individui di sesso diverso, affetti dal medesimo morbo, ma capaci di intendere e di volere, di dare una legittimazione alla loro unione.
Ma in fondo gli uomini di Chiesa non sono scienziati e non spetta a loro stabilire quali siano le leggi che regolano la natura. Forse, con l’espressione “contro natura”, si intende piuttosto qualcosa di simile a “contro il progetto divino”. Ammettiamo l’esistenza di un progetto divino provvidenzialistico da cui l’individuo abbia il potere di derogare (assunzioni non certo scontate). In questo caso alcuni uomini decidono che la scelta di altri uomini è, molto semplicemente, una scelta sbagliata, non rispettosa di un piano di cui si eleggono interpreti.
Ma questa interpretazione della scelta altrui è legittima? E davvero si sceglie di essere omosessuali come si sceglie di andare al supermercato o di rubare una mela? Quantomeno, in questo caso, ci troveremmo di fronte a una scelta che ha conseguenze rilevanti solo per chi la fa propria.
John Stuart Mill scriveva che ognuno ha diritto a cercare la propria felicità, purché questo non rechi danno agli altri. E forse non aveva tutti i torti.
2- L’assenza di una legge sulle coppie di fatto non trasforma gli omosessuali in eterosessuali, moltiplicando la possibilità che si formino famiglie tradizionali, ma semplicemente impedisce loro di godere di alcuni diritti. La presenza o l’assenza di tali diritti non influisce sul modus vivendi delle coppie eterosessuali e dei loro figli, che continueranno ad avere nella società civile quel medesimo ruolo incarnato in precedenza e che non può essere vincolato esclusivamente alla procreazione: coppie che scelgono di non avere figli o non possono averne non sono nuclei familiari in potenza, ma famiglie in piena regola.
Il matrimonio civile è un patto di reciproca assistenza e impegno tra individui che, nella migliore delle ipotesi, nutrono dei sentimenti sinceri l’uno verso l’altro. Chiedergli di più sarebbe forse chiedere troppo. Se il matrimonio religioso si carica di significati altri, le unioni civili sono antiche quanto le religioni stesse e precedono l’affermazione del cristianesimo. Perché la Chiesa dovrebbe interessarsene?
Questa tesi ha un insidioso corollario. Spesso infatti si sente dire che le unioni di fatto sono l’anticamera di ulteriori concessioni. E naturalmente il pensiero corre subito al problema delle adozioni. Il passo è breve? Se le unioni di per sé non preoccupano, le si rifiuta per le loro presunte conseguenze. Questo è probabilmente quel che qualche professore anglosassone potrebbe definire uno slippery slope argument, una specie di abuso logico: da una premessa iniziale di poco conto (poniamo: le unioni omosessuali di per sè non preoccupanti) si derivano in modo più o meno arbitrario una serie di conseguenze che culminano in un evento non desiderato (la possibilità di adottare minori). Con la stessa discutibile logica, se si elimina la pena di morte si arriverebbe poi a depenalizzare l’omicidio.
Le adozioni pongono invece vincoli ulteriori, sui quali possiamo riflettere, coinvolgono individui (bambini) che stanno al di fuori della coppia di esseri adulti e consenzienti che hanno diritto alla loro felicità individuale. Forse per questo non siamo ancora pronti? La domanda resta aperta ma, qualunque sia la risposta, non centra in realtà molto con la questione dalla quale siamo partiti.
Che possiamo concludere? La logica da sola non basta a rispondere agli interrogativi della morale, ma la forza delle nostre argomentazioni è l’unico argine alle derive del pensiero. Quando anche la ragione dorme, restano i mostri, direbbe qualcuno. E forse anche i papi, almeno in certi casi, dovrebbero tenerne conto.