Uscire di casa è un incubo.
Tutto è iniziato con le misure dell’ascensore. Un bel giorno io e Mr P. siamo usciti sul pianerottolo, metro in mano a calcolare l’apertura delle porte. Una cinquantina di centimetri, forse 52 ad essere precisi. “Perfetto”, mi ero detta io, “Il trio Inglesina ne misura 51 quindi ci siamo precisi precisi”. Beh, ho capito una cosa: gli ascensori sono come le canottiere di cotone: se le prendi troppo precise, dopo un po’ si restringono. E questo è quello che è successo a noi.
Si comincia dal portone di casa. Le ruote della navicella ci passano con un ampio margine di uno o due centimetri per lato. Poco? Macché: un lusso! L’ascensore è attaccato alla porta, via con la partita di Twister. Mano destra su manubrio sinistro, piede sinistro che regge la porta dell’ascensore, mano destra su manubrio destro a ruotare la carrozzina, ruota sinistra della carrozzina che regge la porta, entrambe le mani sul manubrio e spingi, spingi, gira e spingi finché le ruote non sono perfettamente a mezzo centimetro dagli stipiti destro e sinistro dell’ascensore.
Pancia in dentro petto in fuori, infilarsi tra la porta e il manubrio – possibilmente non di spalle alla pulsantiera, ovviamente si finisce sempre di spalle alla pulsantiera – premere su T e via, l’ascensore va verso il piano terra. Che fortuna, le porte si chiudono automaticamente.
Raggiungo l’androne del palazzo che sono già sfiancata, ma è qui che le difficoltà aumentano. Nove, ben nove scalini in salita per uscire dalla palazzina. Uno scoglio impossibile, dovrei chiamare l’assessorato al comune per le Pari opportunità e farmi costruire una rampa. Un momento, la rampa c’è! Ma è nel garage e bisogna aprirla manualmente. Quindi seconda manche di Twister: piede sinistro che regge la porta, mano sinistra per girare la carrozzina, entrambe le mani sul manubrio per impennare le ruote davanti e salire lo scalino. E una volta in garage blocca le ruote all’inizio della rampa, poi aprila con fastidioso stridio da ferraglia arrugginita, Filippo si mette a piangere per il rumore, scendi la rampa col passeggino, riblocca le ruote, richiudi la rampa, alza la gamba, abbassa la gamba…nonnaaaaa!!!
Quando, asciugata la fronte e le lacrime del piccolo, salgo finalmente l’ultima rampa esterna di ingresso al garage sono passati almeno 20 minuti da quando ho chiuso la porta di casa. Oddio, ma avevo chiuso casa?
Fuori dal palazzo ci attende Roma, una città groviera, condita con la maleducazione e l’arroganza dei suoi più esemplari cittadini che parcheggiano sulle rampette per disabili a bordo del marciapiede, accelerano quando ti vedono che stai per attraversare sulle strisce e se possibile al semaforo, visto che proprio devono fermarsi, almeno lo fanno in mezzo alla carreggiata pedonale così tu devi fare lo slalom tra le macchine mentre il semaforo lampeggia giallo, giallissimo, rosso. Corri!
Poi ci sono le buche, i pezzi di marciapiede rosicchiati dalle radici degli alberi, le cacche di cane che è difficile evitarle con due piedi, figurarsi con quattro ruote! Quando arrivo alla porta del negozio, o del bar per un cappuccino, mi chiedo perché sono uscita. Anzi, mi chiedo se è meglio usare le mani per aprire la porta, per mantenerla aperta, o per guidare la carrozzina. Ma perché nemmeno la Chicco ha le scorrevoli all’ingresso?
La mattinata è passata, il bilancio impietoso. Vite rischiate: una, al semaforo, perché quel cretino aveva fretta ed è passato a razzo col rosso mentre stavo per attraversare. Bottino: un paio di oggetti non identificati, uno mi sembra una foglia attaccata alla ruota destra anteriore, l’altra è un po’ troppo marrone… Botte e sballottamenti per salire e scendere dal marciapiede: infiniti, praticamente un’ora gratis di tagadà.
È decisamente il momento di rientrare a casa. Di scendere la rampa esterna del garage, bloccare le ruote della carrozzina, aprire la rampa di ferro che porta all’ascensore, salire, ribloccare le ruote, scendere e richiudere la rampa, mano destra per aprire la porta verso l’androne, piede sinistro per impennare la carrozzina e superare lo scalino. Entrati.
Oddio, devo riprendere l’ascensore.