L’aforisma di Oscar Wilde sembra essere assurto, nell’era della comunicazione totale, a una sorta di mantra. Difficile altrimenti spiegarsi certe uscite di vip (non solo politici) e certe coperture mediatiche.
Nei manuali di giornalismo campeggiano da sempre capitoli dedicati ai cosiddetti “criteri di notiziabilità”, condizioni che, se soddisfatte, fanno aprire quelli che vengono chiamati “cancelli della notizia”. Tante virgolette per mettere in metafora un concetto che non ne avrebbe bisogno, tanto è semplice.
Il soggetto della notizia, l’evento, deve avere certe caratteristiche. Se le ha, la notizia passa, ovvero l’evento viene coperto. Se non le ha passa sotto silenzio.
Va da sé che alcuni criteri sono più importanti di altri.
Il criterio di novità è, ad esempio, tra i più importanti; il criterio relativo alle conseguenze (passa la notizia che ha conseguenze più o meno misurabili per il lettore) lo è già meno. Il criterio della localizzazione (eventi vicini) è meno importante di quello del numero di persone coinvolte. E via dicendo.
Oggi sembra affacciarsi una nuova discriminante in questo panorama, e sembra anche posizionarsi abbastanza in alto nell’ipotetica classifica dei criteri di notiziabilità. Sto parlando della capacità della notizia di creare polemica, meglio se indignata.
Ogni giorno assistiamo a notizie di questo tipo. Solo oggi, ad esempio, c’è Barbara D’urso che piagnucola in un video perchè Trenitalia non le dà la tessera platinum e una legione di commentatori di Corriere.it che ipotizza, con più o meno sagacia, divertenti possibili botti berlusconiani a fina campagna elettorale.
Ma non solo; c’è la statua di Priapo di Berlusconi e Corona che lancia messaggi al proprio figlio che potrà leggerli, con calma, in futuro.
Tutte queste “notizie” hanno in comune l’ampio strascico di commenti degli internauti, direttamente sui siti delle testate, su Twitter e su Facebook (per citare i social-cosi più utilizzati). Commenti che, ovviamente, determinano direttamente il “successo” di una notizia.
La polemica, ormai vecchiotta e stantia, delle testate che si limitano a dare quello che chiede il pubblico, è da sempre truccata dalle argomentazioni speciose dei responsabili editoriali. Per loro non dare al pubblico quello che chiede vorrebbe dire chiudere.
E’ un’argomentazione errata sotto diversi punti di vista.
1) L’informazione ha un’innegabile funzione (e responsabilità) formativa
2) L’informazione fa cultura, nel senso che alimenta e crea preferenze e desideri
3) L’esistenza di testate “virtuose”, impegnate in un’informazione più dignitosa squalifica l’argomento di questi signori. L’esistenza de Linkiesta, da sola, ne è una prova.
Per queste ragioni è ben visibile la cattiva coscienza di certi telegiornali e di certe testate online che frammischiano notizie a intrattenimento. Non fanno altro che valicare una soglia che le stesse parole “giornale” e “telegiornale” hanno tracciato dai tempi della loro nascita.
Varcando questa soglia truffano il lettore/spettatore annacquandogli il nutrimento informativo fondamentale (per mille ragioni) in una società come quella contemporanea.
Certo, intanto ci divertiamo, commentiamo, ironizziamo, ci indigniamo. Ma la qualità del materiale che passa per la nostra mente è pressoché disastrosa.