Usi e consumiCaro Cracco, sinceramente hai rotto!

Va bene MasterChef, va bene il libro , passi per la copertina con la modella nuda, il pesce e lo sguardo da duro (non un capolavoro di eleganza), passi per l’intervista dalla Bignardi. Ma gli iperm...

Va bene MasterChef, va bene il libro , passi per la copertina con la modella nuda, il pesce e lo sguardo da duro (non un capolavoro di eleganza), passi per l’intervista dalla Bignardi. Ma gli ipermercati no. Gli ipermercati sono troppo.

Il fatto è questo: Milano, in questi giorni, è tappezzata di manifesti che pubblicizzano un talk show promosso da Iper, la catena di ipermercati che fa capo a Marco Brunelli, con l’obiettivo (copio pedissequamente) “di raccontare le eccellenze alimentari italiane in modo davvero speciale”. In pratica alcuni chef cucinano ricette a base di prodotti tipici del territorio nostrano. Prodotti che, ovviamente, si possono acquistare presso gli ipermercati Iper per le 3 settimane successive all’evento. Si parte con il broccolo fiolaro di Creazzo o e il radicchio rosso di Treviso. E chi cucina? Carlo Cracco, ovviamente.

Ora, io non ho niente contro l’iniziativa di Iper che, anzi, potrebbe anche essere meritoria. In fondo, far conoscere le materie prime locali è una buona idea, seppure non originalissima. Ma perché ancora Cracco? “perché è figo, per esempio” mi dice Raethia Corsini, che i cuochi stellati li conosce bene visto che ne ha intervistati 21 nel libro “Spiriti bollenti”.

E poi? “Un altro motivo, che ha citato lui stesso durante alcune interviste mostrando gratitudine, è il fatto che in cucina ci sono altre persone che, quando lui non c’è, lavorano al suo posto”. In effetti questa storia dei cuochi che non cucinano è bizzarra. Quanto più famosi diventano, tanto meno tempo trascorrono a cucinare, perché sono presi da mille altre attività collaterali, che, però, alimentano la loro fama e la notorietà del loro ristorante. Insomma, andiamo a mangiare (a caro prezzo) da Cracco, sapendo che probabilmente lui non è in cucina.

E poi non tutti gli chef hanno questo interesse verso la visibilità: magari fanno cose interessanti, come le attività di educazione alimentare nelle scuole o i corsi di cucina nelle carceri, che però non vengono pubblicizzate, promosse dai media”. In questo senso la responsabilità è, dunque, duplice: “sicuramente anche i media sono corresponsabili di questa sovraesposizione di alcuni chef. Ma, come ogni “star” sa, se vuole stare lontano dai riflettori o starci con parsimonia, i metodi ci sono. Eccome!” Capito, Cracco?

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