Metti una sera, una cena, una casa altissimo borghese ma piena di libri, ricchissima ma in cui si dicono solo cose di estrema sinistra e hanno tutti o quasi accento di Milano. Avete capito il genere, inutile perdersi in altri dettagli.
E insomma una sera arriva in questa casa, ad una cena di quelle, anche un’assessora del Comune di Milano. Fedeltà ortodossa lungo tutta la linea Pisapia-Bersani e in ascesa. Liberandosi la cadrega della vicesindaca (Maria Grazia Guida, dimissionaria per correre in Parlamento con le Tabacci Truppe), questa assessora arrivata alla cena sembra la candidata unica alla salita (non in politica, ma di grado in politica) a vicesindaca, ma tenendo la sensibile e simbolica delega attuale, che sta al centro di un nodo di interessi molto centrali a Milano nei decenni si spera passati.
Ma l’assessore e vicesindaca in pectore, a quella cena, sembra essersi assai annoiata. Tanto da prendere e andare via ringraziando i padroni di casa, ma scusandosi perché davvero non si aspettava di ascoltare tali e tante banalità. La vox “populi” starebbe attraversando alcuni salotti tra qualche incoffessata ammirazione (in quelle cene a volte davvero la banalità annacqua l’ottimo vino) e lo stizzito fastidio per quei modi che “signora mia, ma in che mani siamo…”.
A chi ha raccolto le piccole memorie di una piccola serata resta solo una domanda. Visto che difficilmente, dati contesti e pretesti, ci si poteva aspettare una serata ad un tasso accettabile di banalità e/o ipocrisia e/o gauchecaviarismo? Se la risposta è no, cara vicesindaca in pectore, perché andarci?