Israele passa all’azione in Siria. Caccia israeliani hanno bombardato ieri un convoglio di armi al confine tra Siria e Libano, dopo che il governo di Gerusalemme aveva lanciato nei giorni scorsi diversi allarmi sul pericolo che armi chimiche potessero arrivare nelle mani delle milizie sciite libanesi di Hezbollah. La vicenda è ancora coperta dal mistero, ma da ieri l’eventualità che il conflitto siriano coinvolga i Paesi vicini appare molto più concreta. Avvertendo il rischio di una possibile escalation del conflitto, Bashar al-Assad avrebbe cercato di evitare che le armi chimiche a sua disposizione finiscano nelle mani dell’opposizione armata al suo regime, decidendo di trasferirle ai suoi alleati Hezbollah filo-iraniani di stanza nel Sud del Libano, nemici giurati di Israele.
(Un F15 israeliano in decollo dalla base di Tel Nof nel novembre 2012 per una missione sulla Striscia di Gaza – AP Photo/Ariel Schalit)
La notizia del raid israeliano in Siria e il crescente stato di tensione in Israele segnalano il rischio che la guerra civile siriana possa innescare a breve un conflitto di più ampie dimensioni. Al momento le notizie sono ancora frammentate e contraddittorie. Le informazioni di fonte militare arrivano confuse e lo Stato ebraico tace. Ma quel che appare certo è che l’attacco c’è stato e che tra ieri pomeriggio e la notte scorsa diversi jet israeliani hanno violato gli spazi aerei libanese e siriano. Secondo il governo di Damasco i caccia-bombardieri israeliani sarebbero entrati nello spazio aereo passando a Nord del Monte Hermon, al confine tra Libano e Siria, volando a bassa quota per non essere intercettati dai radar di Assad.
Siria e Israele sono ancora formalmente in guerra dai tempi della Guerra dei Sei Giorni del giugno 1967, quando Israele conquistò le Alture del Golan. L’ultimo precedente di un attacco israeliano contro la Siria risale al 6 settembre 2007, quando una squadriglia di F15 e F16 israeliani effettuò un raid aereo in Siria per colpire la centrale nucleare di Al-Kibar, situata nella regione desertica di Deir ez-Zor, al confine con la Turchia.
In Israele in queste ore c’è uno stato di massima allerta. Con l’acuirsi delle tensioni nella regione, il Paese è in fibrillazione per il timore che, con lo sgretolamento del regime di Bashar al-Assad, gli Hezbollah libanesi giungano a beneficiare di armi che altererebbero gli equilibri regionali, costituendo così una minaccia diretta per lo Stato ebraico. Ma non c’è solo l’incubo delle armi chimiche in mano agli milizie sciite libanesi di Hezbollah. A impensierire il governo di Gerusalemme sono anche i sofisticati armamenti che la Russia di Putin ha fornito per anni al regime di Bashar al-Assad, i missili Scud della serie D, con un raggio d’azione di 750 chilometri, i missili terra-mare Yakhont con una gittata di 300 chilometri, le batterie anti-aeree SA-17. Solo pochi giorni fa, in un’intervista per la Cnn dal Forum Economico di Davos, il primo ministro russo Dmitri Medvedev aveva dichiarato che Bashar al-Assad ha sempre meno possibilità di restare al potere in Siria. L’incubo di Israele è che queste armi finiscano in mano agli Hezbollah, o in quelle dell’opposizione siriana o peggio ancora possano essere controllate da gruppi jihadisti affiliati ad al-Qaeda.
Il rischio che la crisi siriana possa trasformare l’intera area mediorientale in una polveriera geopolitica di dimensioni incalcolabili è stato segnalato con insistenza negli ultimi mesi, anche in questo blog. Martedì 29 gennaio l’inviato del Consiglio di sicurezza dell’Onu Lakhdar Brahimi ha ribadito che “in Siria sono stati raggiunti livelli di orrore senza precedenti” e ha invitato i membri a trovare una soluzione. “Il paese si sta disgregando sotto gli occhi di tutti. Solo la comunità internazionale può fare qualcosa e il Consiglio di sicurezza non può continuare ad aspettare di trovare un accordo tra i paesi membri”. La dichiarazione di Brahimi è arrivata poche ore dopo il ritrovamento di 71 corpi sul fondo del fiume Quwaiq della città di Aleppo. I cadaveri avevano le braccia legate dietro la schiena, con segni di colpi di pistola alla testa. L’opposizione e il governo non si assumono nessuna responsabilità e si sono accusati a vicenda del massacro.
Dall’inizio del conflitto secondo l’Onu almeno 60mila persone sono morte e i rifugiati sono 700mila. In Kuwait è cominciato un summit per raccogliere un miliardo e mezzo di dollari da destinare agli aiuti umanitari per la Siria. Il presidente statunitense Barack Obama ha offerto in queste ore 155 milioni di dollari per i profughi siriani, portando a 365 milioni di dollari gli aiuti statunitensi. In un’intervista pubblicata dalla rivista New Republic, Barack Obama aveva definito solo pochi giorni fa i contorni di un possibile intervento diretto statunitense nell’area. “In una situazione come quella siriana devo farmi una domanda preliminare: possiamo fare la differenza in qualche modo? Un intervento militare potrebbe avere un impatto? Quanto condizionerebbe l’azione delle nostre truppe ancora in Afghanistan? Quali potrebbero essere le conseguenze di un nostro coinvolgimento sul terreno? Non potrebbe innescare violenze ancora peggiori e il ricorso alle armi chimiche?”.
Nelle parole di Obama è evidente la preoccupazione di evitare un’escalation del conflitto che possa innescare l’intera polveriera mediorientale. Dal marzo 2011, quando per la prima volta le forze di sicurezza siriane hanno aperto il fuoco sui manifestanti, la comunità internazionale è divisa e non riesce a trovare una soluzione alla crisi siriana. Il coinvolgimento diretto di Israele nella guerra civile tra il regime del presidente Bashar al-Assad e l’opposizione armata apre ora nuovi scenari, per il momento ancora difficili da definire.
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