Parrebbe lecito immaginare che un giornalista, alla ricerca di un’intervista, valuti, alla fine del suo lavoro, la validità dello stesso. L’intervistato ha risposto? Ha detto cose nuove e/o interessanti? Ha offerto spunti di riflessione? In generale, esiste una notizia?
Non sembra più essere questo il caso.
Su Corriere.it è apparsa oggi una “intervista” a Marcello Dell’Utri. Le virgolette sono, ahimè, di rigore.
L’argomento è l’eventuale candidatura dell’intervistato. Si/no, con chi, dove, con quali eventuali effetti (per la questione della presentabilità a fronte delle pendenze giudiziarie), con quali suggestioni.
Le risposte di Dell’Utri sono, da una parte, caratterizzate dal suo consueto stile refrattario e sibillino, dall’altro evidentemente orientate a evitare di rilasciare dichiarazioni.
In tutta l’intervista non esiste una sola dichiarazione dell’intervistato che dia al lettore un’informazione nuova; che si sarebbe candidato a oltranza lo sappiamo da un mese, che la sua situazione sia tra le più imbarazzanti idem, che ha difficoltà a intavolare discorsi dotati di senso anche.
Quindi dove sta esattamente il punto del pezzo?
Ma nello stesso Dell’Utri ovviamente, ovvero nella sua pittoresca figura e nell’essere il simbolo, il nodo dell’impresentabilità di Berlusconi. Dell’Utri è ormai puro mito, non nel senso che le accuse che lo inchiodano sono mitologiche (quindi inverosimili), ma nel senso che parlando di lui si evoca tutto un mondo: quello delle trattative stato-mafia, delle vicende del passato di Berlusconi, in generale di una politica impantanata in rapporti poco chiari con la malavita.
Pochi si sono dati la pena di leggersi le vicende giudiziarie del Sig. Dell’Utri, pochi possono, quindi, giudicare a ragion veduta (io l’ho fatto e consiglio a tutti la lettura, decisamente illuminante). Per questo Berlusconi può ancora appellarsi a foglie di fico come la sentenza di primo grado, il grande bibliofilo, il padre di quattro figli ecc ecc.
Ma questo poco importa. La natura di segno mitologico ha poco a che fare con correttezza e verità dei contenuti; è più una relazione emotiva da utilizzare per evocare un mondo con tutte le sue suggestioni e la sua immutabilità. Ed ecco che Dell’Utri fa notizia anche quando, in effetti, non dice niente.
E’ sufficiente evocarlo, fargli dire due cosette di risibile importanza et voilà il pezzo è fatto.
Le regole di notiziabilità (quelle che fanno aprire i famosi gatekeeper dei media) sembrano essere roba vecchia, o perlomeno sono state pesantemente revisionate. La cosa importante sembra essere dare in pasto ai lettori i suoi miti preferiti: le tasse-sanguisuga, i politici ladroni, i massacri in Africa (dell’Africa “tirano” in effetti giusto la fame e i massacri), i reali inglesi e le loro stramberie ecc ecc.
Questa tendenza ha due conseguenze precise.
1) La notizia si appiattisce sulle sue dimensioni suggestive che, in quanto tali, negano riflessione e approfondimento. Colpire con la figura e il suo corredo mitologico senza illustrare i fatti né argomentare.
2) Il lettore che si ciba di queste notizie si chiude in un abitudine del “sempre uguale”, del passato che ritorna e del “è sempre la stessa storia”. Ciò nuoce direttamente all’attenzione del lettore per il mondo che lo circonda (un mondo in eterno consueto non è interessante) e alla sua disposizione al nuovo e alla progettualità.
Ma ora sto divagando, approfondiremo questo discorso in un altro post. Meglio fermarsi qui; dopotutto, come abbiamo detto, non c’era proprio niente di cui parlare oggi.