Il Rinascimento rappresentava la Memoria come una donna dai due volti, uno rivolto verso il passato e l’altro verso il presente, in una mano un libro che narrava storie antiche, nell’altra una penna per poterne scrivere di nuove. Nella storia culturale della civiltà europea, come testimoniano gli studi pionieristici di Aby Warburg e di Erwin Panofsky, la rappresentazione visiva della memoria, della sua necessità e della sua negazione, è estremamente presente, così come l’analisi dei segni visuali della memoria è profondamente influenzata dall’aspetto dinamico delle immagini, che segnalano spesso la “lacunosità” della memoria, la sua fragilità e inaffidabilità.
Ma a cosa serve la memoria? Come utilizzarla e cosa scegliere di ricordare? Come evitare il rischio di adattare il passato al presente, di sacralizzare un evento, di dotarlo di un’aurea cristallizzata e indiscutibile? Il rapporto fra la memoria e la storia non è qualcosa di nuovo, ma è antico quanto le società storiche. Ai giorni nostri, un elemento fuorviante è sicuramente una certa “ipertrofia della memoria”, ossia un nuovo modo di pensare il tempo e lo spazio in relazione agli eventi passati, dilatando a dismisura il carattere quasi ossessivo che ha assunto la memoria nelle società contemporanee. Tale fissazione della memoria investe vari livelli di significazione di una “memoria iconologica”, nei quali sono compresi i gradi individuali, collettivi e culturali del ricordo mnemonico. Così facendo, la commemorazione si nutre di elementi provenienti dalla storia, ma non si sottomette ad alcuna prova di verità.
A rendere ancora più problematico l’utilizzo di questo metodo interviene il fatto che sull’iconologia della memoria operano spesso “mediatori del ricordo”, che intendono conservare e custodire quell’ortodossia mnemonica, la quale, senza il loro apporto, andrebbe perduta. La funzione pseudo-sacrale veicolata da questi ”custodi di Mnemosine”, in cui s’intrecciano le tre modalità di commemorazione, patrimonializzazione e sovrapproduzione di memoria, intensifica la percezione della memoria come oggetto e bene di consumo, piuttosto che come azione dinamica sugli eventi del passato. In altri termini, gli elementi contenutistici, simbolici e vincolanti dell’ars memoriae, per poter essere fruiti, debbono necessariamente passare attraverso il prisma di rifrazione della “concorrenza mnestica” dei mediatori, volto a postulare il suo livello di ancoraggio al potere nel discorso sulla memoria. L’iconologia del ricordo diviene così un campo di battaglia, in cui si lotta per la conquista del passato. Queste estensioni o amputazioni della memoria individuale e collettiva diventano a loro volta memoria sacrale, veicolando un senso del passato discontinuo, incoerente, a tratti nostalgico, comunque sempre preconfezionato e avulso da ogni capacità di giudizio.
Ciò che è cambiato negli ultimi anni rispetto al passato è che ora sono le memorie dal basso, le memorie degli anonimi, di coloro che normalmente non lasciano tracce nella storia a esser prese sul serio e sono queste memorie a esser maggiormente valorizzate. Nel suo libro “The Age of Extremes”, tradotto in Italiano come “Il secolo breve”, Eric Hobsbawm ricorda come “la distruzione del passato, o meglio la distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti, è uno dei fenomeni più tipici e insieme più strani degli ultimi anni del ‘900”. E’, quella di Hobsbawm, una storia percepita come forma di memoria collettiva coerente, messa al riparo dall’oblio e dalla nostalgia, ovvero dal desiderio di un passato onirico ed emotivo.
La storia, nel frattempo, è diventata non più una pedagogia della nazione, ma una pedagogia della società, o più esattamente del sociale. A poco a poco, la concezione della memoria si è complicata ed essa è divenuta una specie di sonda nella produzione dell’immaginario collettivo di una determinata società. In altri termini, l’iconologia della memoria viene a interrogare il portato mnemonico nella sua dimensione etica, con contenuti non più solo circoscritti in funzione della memoria culturale, ma in una prospettiva più ampia, che investe le fondamenta stesse della convivenza civile. Le componenti del ricordo si trovano così confrontate con una significativa ed inedita assunzione di responsabilità rispetto all’uso egemonico che interessa la dialettica memoria-oblio. Risulta così evidente che per evitare i rischi di una “ipertrofia della memoria” è opportuno rileggere di tanto in tanto Jorge Luis Borges, il quale ammoniva che “un sovrappiù di memoria può schiacciare il presente”, perché se si vive solo pensando al passato non si ha più la forza di programmare il futuro.
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