La prima volta che sono andata dal pediatra mi sentivo come quando portavo Rosolino dal veterinario: tutto era un grande punto interrogativo. Sarà buono? Si farà toccare? Farà la pipì sul lettino del dottore? Non avevo la gabbietta ma una navicella Inglesina da 10 chili, le difficoltà a uscire di casa erano più o meno le stesse, il costo della visita decisamente più alto: mi hanno chiesto da 90 a 200 euro, contrattabili a 150 senza fattura.
Ho imparato che il pediatra è il guru dei neogenitori. Così come il ginecologo decide la tua vita quando sei incinta, il pediatra raccoglie tutti i tuoi dubbi quando diventi mamma o papà. Tipo:
Posso fargli il bagnetto dopo mangiato?
Perché sbadiglia? (ossessione di mia suocera)
Come gli soffio il naso?
Qual è una quantità di rigurgito appropriata?
Rispetto al ginecologo, però, c’è una differenza. Sarà la fatica del parto, sarà l’ebbrezza di quell’esserino piccolo che lo reggi con una mano eppure ti comanda, ma guru, alla fine, ci diventi pure un po’ tu. È come se a un certo punto Madre Natura ti desse tutta la fiducia che in mesi non hai (quasi) mai avuto e ora che tuo figlio ce l’hai lì, davanti, a volte ti sembra persino di sapere cosa devi fare. Senza che te lo dica nessuno. [Una condizione, parentesi, che cozza un po’ con le chiacchiere dei nonni (o meglio, delle nonne): che sono loro che sanno tutto, possono tempestarti di domande e inondarti di buoni consigli (non ricordo di averli richiesti)].
Il pediatra, ho imparato, si prende doppio. Tipo il whiskey o il caffè. Forse così se uno ti dice che va tutto bene hai sempre la possibilità che l’altro ti segnali qualcosa di cui crucciarti, tanto per stare in allenamento.
Uno deve essere quello della Asl, per la cui iscrizione ci si scontra subito con una tipica inefficienza del Sistema-Italia; l’altro in genere è un privato, spesso dal tariffario di un notaio. Per il primo serve il codice fiscale del bebè, che si fa all’Agenzia delle entrate col certificato di nascita, che si fa al Comune con l’attestato di assistenza al parto, che si fa in clinica o in ospedale. Con il bambino. Per il secondo, invece, serve solo il portafoglio o, meglio, un’assicurazione medica. Ma è quello che puoi chiamare nel cuore della notte, magari di domenica, magari nel pieno delle ferie natalizie o d’agosto quando al numero del pediatra della mutua ti risponde solo una segreteria telefonica che ricorda gli orari di ricevimento: la mattina del lunedì dalle 8 alle 10, del mercoledì dalle 10 alle 11, un mezzo pomeriggio a metà settimana e ritenta sarai più fortunato.
L’iscrizione col pediatra pubblico, poi, è una specie di roulette russa. Quando hai scelto il nome del medico – consigliato oppure pescato da una lista online – devi andare alla Asl e chiedere se c’è posto. Ogni dottore ha una”capienza” oltre la quale non può accettare nuovi bambini. Ora, uno pensa, se voglio iscrivere mio figlio con il pediatra X e questo è pieno, ci sarà una lista d’attesa. Sarebbe logico, non è italiano: per aggiudicarsi un pediatra che non ha posti liberi bisogna andare alla Asl tutti i giorni e, come in un romanzo kafkiano, fare la fila, chiedere alla signorina allo sportello se si è liberato un posto, e se questa risponde di no ripetere tutto il giorno successivo. E quello dopo, quello dopo, quello dopo finché uno dei bambini non fa 18 anni, cambia medico e tu puoi infilare il tuo.
Quando Mr P. è andato alla Asl di zona avevamo un paio di nomi: due consigliati, uno pescato online come back up nel caso gli altri fossero stati pieni.
“Buongiorno, vorrei iscrivere mio figlio col pediatra”, fa Mr P.
“Avete già un’idea sul nome?”, chiede la signora allo sportello.
“Sì. Il dottor X…”.
“Mmm…”, e quella storce la bocca.
“Beh, se non c’è posto la dottoressa Y…”.
“Mmm…”, e quella storce la bocca.
“Allora il dottor Z?”, prova Mr P.
“No, con quello non glie lo iscrivo”, fa la signora.
“E perché?”.
“Perché c’è un motivo se ha ancora posti liberi”.
Senza approfondire sulle qualità professionali del dottor Z, per fortuna, una delle nostre opzioni era in realtà disponibile e Filippo ha ufficialmente una pediatra della Asl. In attesa della visita mutuabile, comunque, l’abbiamo portato da una privata oltre al medico della clinica dove è nato: già tre visite a sei settimane di vita (e poi dicono che la gravidanza è troppo medicalizzata). Gli è stato detto che è tonico (mi sembra un complimento), che è un volitivo (ecco, questo non so se sia proprio un complimento), ma soprattutto ha fatto solo una volta la pipì all’aria.
Per le grandi performance si vede che preferisce l’atmosfera di casa. Dove ha battezzato più o meno tutto: parquet, fasciatoio, comò della nostra camera da letto. Persino il termosifone, ho notato ieri con Mr P., ha una sospetta scia di goccioline giallognole che disegnano un arco. La migliore, povera stella, stamattina: quando ha colto con tempismo perfetto il momento in cui gli alzavo le gambe per infilargli il pannolino pulito. Una frazione di secondo azzeccata con terribile precisione. La traiettoria era infallibile e allo stesso tempo impietosa, il getto diretto, il bersaglio centrato: dritto dritto in faccia.