Quello di MPS è quasi un caso di studio di quel che non dovrebbe succedere e di come non ci si dovrebbe comportare. Di come NON si dovrebbe amministrare una banca, NON si dovrebbero selezionare i suoi amministratori, NON dovrebbero agire gli organismi di vigilanza e di controllo, NON dovrebbero intromettersi i politici locali etc etc.
Insomma uno di quei casini dove pare che la colpa sia un po’ di tutti e va a finere che poi non è di nessuno. Così nel balletto del “chi è senza peccato scagli la prima pietra” si potrebbe perdere di vista quelle che dovrebbero essere le domande fondamentali: cos’è che non ha funzionato e non funziona? Come evitare problemi in futuro?
Partiamo dall’ABC: cosa fanno le banche? Sintetizzando al massimo: raccolgono fondi dai risparmiatori e li impiegano per erogare finanziamenti.
Già da questa presentazione elementare si capisce che per funzionare un’attività di questo tipo deve avere una serie di requisiti: che si fa se i risparmi della nonnina finiscono in mano al palazzinaro spregiudicato che poi sparisce col malloppo?
Sempre stringendo all’osso occorre quanto meno che:
- La banca disponga di un adeguato capitale proprio per far fronte almeno in parte alle perdite possibili sui crediti erogati (quando il palazzinaro scappa)
- Le decisioni sull’erogazione dei finanziamenti vengano prese da persone competenti e che non si trovino in conflitto di interessi
Sul punto 2 casca un asino enorme, perché tutte le volte che si invoca l’intervento dello stato nella gestione delle banche si auspica la gestione di persone spesso incompetenti e sempre e comunque in conflitto d’interessi. Cerchiamo di capire la storia del conflitto perché è fondamentale.
Se mi affidate 100 euro con l’obbiettivo di farli fruttare e l’accordo che
- se guadagno parteciperò agli utili
- se perdo non subirò alcun danno tranne il mancato guadagno della partecipazione agli utili
come credete che mi comporterò coi vostri soldi?
La strategia più razionale è inseguire il massimo dei rischi perché se mi va bene guadagno tanto e se mi va male le perdite ricadono su di voi. Siamo nel caso testa vinco io, croce perdete voi.
E’ chiaro che un sistema così non funziona? Eppure un sistema nel quale le banche sono di proprietà o controllate dallo stato funziona esattamente così: se lo stato si fa carico delle perdite sui crediti che incentivo ha il management a prestare i soldi con prudenza?
Qual è il modo sano di gestire le cose?
In primo luogo gli azionisti devono essere privati. Se ci sono degli azionisti privati, gente che se la banca va male perde soldi che ci ha investito, questi hanno tutto l’interesse a nominare dei manager capaci che non distruggano il loro patrimonio, ma che anzi lo accrescano. Se i soldi ce li mette lo stato, ossia tutti i contribuenti in proporzione, l’interesse ad una gestione corretta è molto minore.
L’obbiezione principale a questo proposito è: si può lasciar fallire le banche? E le corse agli sportelli? Mary Poppins? Qui c’è un altro equivoco.
Un conto sono i depositi dei risparmiatori (clienti della banca) e un altro le sorti dei proprietari della banca (azionisti) e dei loro creditori (obbligazionisti). Esiste un consenso unanime sul fatto che sia interesse della collettività tutelare in modo specifico i risparmi dei cittadini e difatti ovunque nel mondo esistono meccanismi di assicurazione dei depositi: se la banca è in difficoltà i clienti non subiscono perdite perché i loro depositi sono garantiti da qualche organismo diverso dalla banca (può essere anche lo stato).
Non esiste invece alcun interesse pubblico* a salvare gli azionisti delle banche: esiste anzi l’interesse opposto, se le banche possono fallire allora i loro azionisti staranno particolarmente attenti a scegliere manager capaci. Se le banche vengono salvate ricadiamo nel caso testa vincono loro, croce perdiamo noi.
Questo parlando di incentivi a prestare bene i soldi. Se tuttavia l’azionista è pubblico esistono anche incentivi a prestare male i soldi.
Un’iniziativa che non è economicamente conveniente, o lo è meno di altre, può essere preferita per motivi “politici”. Non è necessario tirare in ballo la corruzione o connivenza, è sufficiente che qualcuno, anche teoricamente in buona fede, decida che è bene finanziare quel progetto invece di un altro. Si tratta di una strada pericolosa poiché all’interesse dei risparmiatori viene anteposto una decisione arbitraria in favore di un destinatario ingiustamente privilegiato.
C’è poi un terzo requisito da tener presente: la concorrenza tra gli istituti bancari. Se lasciamo a uno o più istituti il potere di agire senza paura di rappresaglie dai concorrenti, oltre a danneggiare i consumatori, che pagheranno prezzi più elevati e riceveranno condizioni peggiori, gli togliamo l’incentivo a scegliere manager capaci e a selezionare le iniziative più meritevoli da finanziare danneggiando l’intera economia.
Chiarita la teoria possiamo vedere cosa succede in pratica.
Abbiamo detto che le banche dovrebbero essere private (punto 2) e farsi concorrenza tra loro (punto 3) in modo da poter essere gestite da manager qualificati e non in conflitto d’interesse.
Cosa succede in Italia e nello specifico nel caso MPS?
Le banche italiane sono solo “formalmente” private: il controllo degli istituti è esercitato dalle Fondazioni Bancarie (e dunque dai politici) che detengono la maggioranza dei diritti di voto. Se sono i politici a nominare gli amministratori è più probabile che selezionino professionisti competenti oppure loro conoscenti disponibili a praticare una gestione in cui la creazione di valore per gli azionisti non è al primo posto?
Se una banca è stata gestita male, distruggendo valore prima per gli azionisti, poi per il sistema produttivo al quale non eroga credito in modo sufficiente e corretto e infine per i contribuenti dal momento che lo stato deve intervenire c’entrerà qualcosa il modo in cui veniva selezionato il management?
Abbiamo detto che al punto 1 le banche dovrebbero avere un capitale adeguato come sono messe quelle italiane e MPS?
Sono messe tutte male (MPS così male che lo stato interviene prestandole 4 miliardi di euro) ancora una volta per un problema politico ossia il mantenimento del controllo da parte delle fondazioni bancarie. Se il capitale di una banca viene aumentato, ne consegue che l’azionista di controllo o adegua il proprio investimento (operazione che ha impoverito drammaticamente la fondazione che controlla MPS) oppure perde il controllo della banca.
Per mantenere le banche sotto il controllo dei politici il livello del capitale proprio è stato mantenuto a un livello non adeguato in questo modo le difficili condizioni nel mercato del credito, già inasprite dalla crisi finanziaria internazionale sono state esacerbate da questo aspetto tutto italiano.
Se le banche non erogano credito sufficiente al sistema e soprattutto non lo concedono ai soggetti più meritevoli è anche perché hanno un livello di capitale troppo basso onde consentire ai politici di mantenerne il controllo attraverso le fondazioni bancarie.
Che conclusioni possiamo trarne?
In primo luogo, il caso MPS non è un incidente isolato, ma rappresenta la logica conseguenza di un sistema che non è disegnato per gestire al meglio l’attività bancaria, ma per porla sotto la guida interessata della casta politica.
In secondo luogo, il costo di questa guida interessata per la collettività deve includere:
- i servizi forniti ai clienti del sistema bancario a prezzi maggiorati e condizioni sfavorevoli
- il mancato credito erogato alle imprese sane e alle famiglie a causa della capitale inadeguato e dei criteri di affidamento non ottimali
- il costo per i contribuenti dei finanziamenti e sussidi che a vario titolo lo stato eroga per salvare o tenere in vita gli istituti male amministrati dai manager selezionati dai politici (l’ultimo per MPS ammonta a circa 4 miliardi)
In terzo luogo, al di là delle pur urgenti soluzioni particolari e a attribuzioni di responsabilità per il caso MPS, solo una radicale modifica del sistema, che includa una reale privatizzazione e liberalizzazione del settore può metterci al riparo dai danni causati fino ad oggi dal controllo della casta politica sul sistema bancario del nostro paese.
*L’eccezione che conferma la regola è il cosiddetto Too big too fail, ossia troppo grande per fallire. Se una banca diventa così grande che il suo dissesto mette a repentaglio l’intero sistema, le autorità non possono fare a meno di salvarla. Per ovviare a questo problema occorre introdurre delle regole che impediscano alle banche di diventare troppo grandi. Se la frittata è già fatta la via preferibile è che lo stato dopo aver nazionalizzato gli istituti proceda a una successiva privatizzazione avendo cura che i nuovi istituti privati non siano Too big to fail