In medias resLo Spoglio di Bersani potevano farlo al Bar Sport

Ieri sera mi sono inflitto “Lo Spoglio”. Lo so, non è bello metterla giù così; chi mi conosce sa anche che insisto spesso sul dovere civico di informarsi, quindi a maggior ragione potrei suonare ip...

Ieri sera mi sono inflitto “Lo Spoglio”.
Lo so, non è bello metterla giù così; chi mi conosce sa anche che insisto spesso sul dovere civico di informarsi, quindi a maggior ragione potrei suonare ipocrita.
Il problema è che non amo questi format che, in assenza di un contraddittorio, devono per forza esaltare la figura del giornalista per farne una sorta di antagonista spietato (si vedano i trailer della trasmissione). Per fare le pulci a un programma politico serve una personalità che faccia da controcanto nei fatti; una personalità che, quindi, deve essere preparata in tutti gli specifici. Altrimenti occorre fornirsi di una schiera di esperti e creare dei micro-contraddittori.

La formula di “Lo Spoglio”, invece, si basa su un comizio contrappuntato da qualche sparuta provocazione. Nel caso di ieri sera, alle risposte spesso precise e circostanziate di Bersani, alla D’amico rimaneva ben poco da controbattere o da aggiungere. Non perchè Bersani avesse il verbo (tutt’altro, più volte il fianco del leader PD era aperto ad argomentazioni), ma perchè non si studia da Travaglio da un giorno all’altro.
Quindi, per cercare di aggiungere un po’ di sale, gli autori Sky si sono attrezzati di sondaggi (sui quali la D’amico, abituata a classifiche e inseguimenti, si trovava molto più a suo agio) e del fact checking (“verifica dei fatti” probabilmente suonava troppo di maliziosa sfiducia).

Alla fine ne è uscita una trasmissione decisamente insipida in cui il consueto Bersani scazzato e immusonito è comunque riuscito a trasmettere i suoi piani politici dimostrando però, ancora una volta, la propria allergia alle regole della buona comunicazione.
Sguardo basso, orientamento obliquo, intercalari scocciati (“cosa vuoi che commenti”, “che ne so…”) e in generale un atteggiamento lungi dal comunicare sicurezza e fiducia.

Evidentemente in Bersani non riesce a passare questo concetto astruso per il quale un candidato premier deve saper portare efficacemente le proprie idee al pubblico.
Non parliamo di “tecniche di comunicazione”; oggi l’equivoco è più vivo che mai, anche in chi le studia queste tecniche. Troppe volte ho sentito dire che comunicare è anche saper mentire e infiorettare la realtà…dove in realtà ciò che si voleva dire era che comunicare è soprattutto saper mentire e infiorettare la realtà!
Sotto questo aspetto, anzi, ben ha fatto Bersani a esplicitare il suo tirarsi fuori dalle logiche dello strillo e dell’insulto. Non è infatti solo la politica ad avere bisogno di una ripulita ma anche la comunicazione politica.

Bersani, però, non può fare il talebano dell’anti-comunicazione. Non può permettersi di raccontare i propri programmi politici con lo sguardo distratto e scoglionato di un bevitore di bianchini del Bar Sport.
Il leader PD ha un libretto universitario spettacolare, una fioritura di trenta e trenta e lode da far paura. Sospetto però che la sua comunicazione non sia cambiata molto dai tempi dell’università. Tono, sguardo, decisione, postura, sorriso possono non contare in un esame universitario in cui si deve mostrare la propria preparazione; ma di fronte a qualcuno che ti darà un altro tipo di voto sono aspetti fondamentali.

X